’Via ch’eccoli’, Gubbio ritrova i Ceri

Dopo due anni di stop oggi la città riabbraccia la festa più amata. "È come una sinfonia sociale"

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Il "giorno" è arrivato e la Festa dei Ceri, prima grande manifestazione plurisecolare e popolare per valori, tradizione e coinvolgimento, riapre la strada ad una sostanziale "normalità" inseguita e rimpianta per due anni. Nel rispetto, doveroso, di una responsabile prudenza espressa nell’obbligo per "il pubblico spettatore" (ceraioli quindi esclusi) di indossare nell’arco della giornata mascherine (preferibilmente di tipo FFP2) in Piazza Grande e lungo tutto il percorso. Non ci saranno varchi o limitazioni fisiche e materiali, la città e la sua massima espressione identitaria si offriranno in tutto il loro fascino evocativo, spettacolare, coinvolgente, con totale fiducia in comportamenti che consentano alla "prima" eugubina di tracciare la strada per altri appuntamenti dello stesso valore. Via "Ch’Eccoli", insomma e, verrebbe voglia di aggiungere, "su la maschera" proprio per la tutela e il rispetto che l’evento merita.

La "Festa dei Ceri", come è noto, è un tributo di amore e di affetto verso il Santo Vescovo Ubaldo Baldassini che ripropone ancora oggi, seppur aggiornato nei ritmi e nella forma quel pellegrinaggio che il 15 maggio 1160 vide i cittadini salire, con i "ceri" in mano, verso la Cattedrale di allora quasi a voler percepire gli ultimi respiri del Presule morente. E’ da allora – soltanto con tre pause legate purtroppo ad eventi drammatici, Prima e Seconda Guerra Mondiale, Covid - che a metà maggio Gubbio, attraverso le "università di arti e mestieri" (Muratori Scalpellini ed Arti Congeneri, Artigiani e Commercianti, Contadini ed "asinari", vale a dire i moderni autotrasportatori, ma anche fabbri, falegnami, lanari, etc.) rappresentate dai "Ceri" dei rispettivi protettori, S.Ubaldo, San Giorgio e Sant’Antonio, attinge al suo più nobile patrimonio per rinnovare un gesto di amore, di devozione, di gratitudine, di affetto. Lo fa in maniera unitaria e coinvolgente in una giornata in cui tutti sono protagonisti, con l’unico riferimento distintivo espresso dai colori giallo, azzurro e nero, richiamati dalle mantelline dei tre Santi che sorridono, quasi divertiti, dall’alto delle tre splendide "architetture", cui la folla guarda non con paura, ma con fiducia e complicità. Consapevoli di aggiungere quest’anno, ai tanti, anche messaggi di pace, fiducia, solidarietà, riconciliazione. Il periodo ne ha bisogno ed i "Ceri" sono testimoni credibili. "I Ceri – come ricorda il compianto vescovo mons. Pietro Bottaccioli - sono una grande sinfonia sociale. Non è lo sforzo isolato di qualcuno che li fa volare verso la meta ma la sinergia di tutti: dai portatori ai braccieri, da chi corre avanti acclamando, dagli anziani e dai malati che dalle finestre incoraggiano". Aggiunge Pietro Ubaldi, filosofo che con "La grande sintesi" nel 1972 si era meritato la candidatura al Nobel: "Ed ogni anno, eternamente vecchia ed eternamente giovane, nei secoli, la vita ha qui gridato la sua gioia e cantato il suo canto irresistibile, possente". "Pensavo di vedere la processione con tre statue dei santi, S.Ubaldo, San Giorgio, Sant’Antonio – ha scritto Padre Ibrahim Faltas, rettore della Basilica della Natività di Betlemme, presente nel 2019 - ma ho visto tre ceri, un simbolo di luce importante nella storia di tutte le religioni….di fatto ho visto un popolo in festa, in un clima di grande entusiasmo, un vero inno alla vita, per la gioia di appartenere a Gubbio. Riparto da questa città con il sogno di fare una corsa dei ceri a Gerusalemme, tra ebrei, cristiani, musulmani, per esprimere, con tutta la libertà, la gioia della vita e dell’amore per Gerusalemme".

G.B.