"Abbiamo chiuso soltanto due giorni a Ferragosto, non nascondo che sia una sacrificio, ma abbiamo ricevuto così tanti ringraziamenti e complimenti che ripagano della fatica fatta". Erika Bardazzi, titolare dello storico negozio Minimoda di via Santa Trinita è una delle poche attività che non ha mai abbassato la saracinesca durante il periodo delle ferie. Una scelta che parte dalla consapevolezza che una città chiusa non può essere attrattiva: "Restare aperti, impiegare personale è indubbiamente impegnativo, ma in agosto, contrariamente a quello che si possa pensare, abbiamo lavorato bene, soprattutto con i vestiti per le cerimonie. Tante persone sono venute in negozio approfittando dei giorni di ferie perché la città non si vuota più come un tempo anche chi va in vacanza non sta via per tutto il mese e quindi c’è sempre stato passaggio di persone".
Restare aperti però significa investire nel personale e sopportare maggiori costi, anche per l’aria condizionata che nel mese di agosto, visto il caldo che è stato, era fondamentale. Ma fa lo stesso, si sono commercianti affezionati, che credono nella città e nelle sue potenzialità: "Anche altri colleghi hanno scelto di non chiudere e il ritorno c’è stato - aggiunge Bardazzi -.Abbiamo garantito un servizio ai cittadini, venivano in negozio prima della cena o dell’aperitivo, vedere il centro della città completamente chiuso non è bello. Sarebbe interessante poter iniziare un dialogo in questo senso, capisco che non tutti possano permettersi di restare aperti, ma proprio per questo la collaborazione con l’amministrazione diventa preziosa. Magari si può pensare a sgravi per chi appunto non chiude, potrebbe essere un aiuto concreto per permettere a Prato un cambio di passo quanto mai necessario".
Il tema dei negozi aperti d’agosto non è certo una novità: se la città ha l’ambizione di crescere dal punto di vista turistico deve esserci per forza un impegno in questo senso. I bar, i ristoranti, le attività che chiudono in contemporanea diventano un ostacolo non di poco conto alla vocazione di ospitalità che Prato sta cercando (non senza fatica) di coltivare.
Silvia Bini