DAVID ALLEGRANTI
Politica
Editoriale

Se Tomasi e Conti diventano essenziali

La rubrica 'Pecore Elettriche' di David Allegranti
La rubrica 'Pecore Elettriche' di David Allegranti

Firenze, 10 settembre 2023 - L’arrivo di settembre proietta la politica toscana nel 2024, l’anno delle elezioni europee, ma anche quello delle elezioni amministrative. L’anno in cui saranno decise le elezioni regionali del 2025, per questioni di distribuzione geografica dell’elettorato.

“Se perdiamo la Toscana il Pd è finito. Non solo il Pd toscano, ma il Pd nazionale”, dice con consapevolezza il deputato e segretario regionale Emiliano Fossi. Il Pd non ha ancora risolto il problema del successore di Dario Nardella, ma difficilmente eviterà di ricorrere alle primarie per individuare il nuovo candidato sindaco. Con la fine dei due mandati dell’attuale sindaco di Firenze - la Ztl della Toscana - la stagione politica del post-renzismo si chiude e quella nuova è una incognita. Nessuno degli aspiranti sindaci sembra avere la forza che ebbe ormai oltre dieci anni fa Matteo Renzi, quando si affermò alle primarie fiorentine del 2009 contro i voleri del suo stesso partito. Sembra saperlo bene lo stesso leader di Italia Viva, che continua a essere il rovello dei Democratici.

Il Pd non può regalarlo alla destra e non può attaccarlo apertamente, perché governa con Iv a Firenze e in Regione; senza dimenticare che Renzi è stato, fra le altre cose, sindaco di Firenze e, per due volte, segretario nazionale del Pd, sicché diventa difficile prendersela con il proprio passato.

«Come non fai a farci i conti?", è la domanda che gira sempre nella testa dei dirigenti, vecchi e nuovi, del Pd toscano e fiorentino. Renzi ci gioca, vuole costringere il Pd a un compromesso sulla scelta del candidato sindaco (requisito principale: non deve piacere a Nardella, che il leader di Italia Viva vuole punire per alto tradimento) e dice che alleanze con la destra non ne farà. Anche perché sa che a Firenze l’estremismo del destra-centro non può vincere. Sarebbe tuttavia diverso il discorso se a Firenze la destra avesse un Alessandro Tomasi, come a Pistoia, che peraltro potrebbe essere lo sfidante di Eugenio Giani nel 2025. Un (candidato) sindaco normale, che non bercia, che lavora e che non agita gli animi con scelte identitarie.

I toscani hanno già dimostrato di non avere problemi a votare, ma soprattutto a rivotare, per la destra. È successo dappertutto, da Siena a Pisa, a Massa, e non è stato un caso. La destra insomma non è come i Cinque Stelle, che dopo un solo giro in Comune a Livorno e Carrara sono tornati a rimettere il tonno nelle scatolette.

Michele Conti a Pisa alle ultime amministrative ha vinto anche grazie al sostegno della sua lista civica, che nel 2018 non c’era e che è arrivata seconda nella coalizione con il 14,5 per cento; in questo modo, Conti è riuscito a togliersi di dosso l’etichetta del leghismo duro e puro, quello che si affermò nel 2018 con il 25 per cento (e il 40 per cento nei quartieri di edilizia popolare come il Cep, dove anche l’estrema sinistra votò per la Lega).

A Firenze, tuttavia, la destra ha due problemi. Non ha né Tomasi né Conti e ha una certa difficoltà a rendersi credibile tra la borghesia stracittadina, che non ha molta voglia di essere dist urbata. Meglio lo status quo di uno status… iniquo.

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