Casalesi e lavoro nero negli appalti L’ombra della camorra anche a Pisa

Nel maxiblitz della Procura di Firenze sono state eseguite 34 misure cautelari tra cui 10 arresti. L’articolata indagine ha fatto emergere che non ci sono coinvolgimenti delle stazioni appaltanti

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di Carlo Baroni

PISA

False fatture, incarico a terzi prestanome di effettuare prelievi in contanti per pagare le fatture fasulle. Soldi che, poi, almeno in parte – è emerso – venivano riciclati per la retribuzione a nero della forza lavoro. "Si trattava di una holding che si dedicava al subappalto di manodopera, frode fiscale e riciclaggio con investimenti considerevoli nel territorio, anche nelle opere pubbliche", ha spiegato il procuratore di Firenze Giuseppe Creazzo illustrando i dettagli della maxi operazione anti camorra in Toscana.

Tra i cantieri citati nell’ordinanza, con cui il gip di Firenze ha disposto 34 misure cautelari, tra cui 10 arresti, ne figura uno a Pisa per la realizzazione di un polo didattico universitario, e uno a San Miniato, per la costruzione del capannone di un’attività commerciale. Le stazioni appaltanti delle opere sono estranee ai fatti: gli appetiti ignobili si sarebbero scatenati appunto, nel subappalto della manodopera. L’operazione è stata condotta dalla Guardia di Finanza del comando provinciale di Firenze e dello Scico (Servizio centrale di investigazione contro la criminalità) nell’ambito di un’indagine coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Firenze. Il maxiblitz ha visto anche il sequestro preventivo agli indagati di beni e disponibilità, per equivalente, fino alla concorrenza di circa 8 milioni e 300mila euro. Numerosi i reati contestati ai 34 indagati coinvolti nell’operazione "Minerva", tra cui appunto il riciclaggio, l’autoriciclaggio e il reimpiego, l’intestazione fittizia di beni, l’emissione e utilizzo di fatture per operazioni inesistenti con l’aggravante dell’associazione a delinquere di stampo mafioso. Le indagini sono partite dagli investimenti immobiliari e commerciali effettuati nel 2016 nella provincia di Siena da due commercialisti campani affiancati da un architetto, originario del Casertano, ritenuti vicini alla fazione del boss Michele Zagaria. Si è sviluppata un’inchiesta che, nel dettaglio, ha fatto emergere un sofisticato sistema fraudolento, fondato su diverse società, ritenute riconducibili agli indagati e formalmente gestite da prestanome, che hanno svolto diversi lavori edili sul territorio nazionale, operando per lo più in subappalto.

L’esecuzione dei lavori e la successiva fatturazione da parte dei committenti dava corso – è stato ricostruito – a una prima serie di fatture per operazioni inesistenti a favore di società di comodo che attestavano falsamente la collaborazione nei lavori. L’ulteriore fase prevedeva altre fatturazioni per operazioni inesistenti a favore di altre ‘cartiere’, i cui amministratori, anch’essi meri prestanome, operavano il prelievo di contanti delle somme di denaro a titolo di pagamento di prestazioni in realtà mai rese. I conti correnti venivano svuotati quindi attraverso un’organizzata squadra di ‘bancomattisti prelevatori’, persone prossime alla soglia della povertà e alcune delle quali beneficiarie di reddito di cittadinanza o di emergenza.