Sì, caro Dibba, però noi aspettiamo ancora il libro su Bibbiano

L'ex deputato del M5s torna in libreria con un libro contro Draghi, che è in carica da tre mesi ma ha già un nemico mortale

Alessandro Di Battista

Alessandro Di Battista

Firenze, 13 maggio 2021 - Il governo Draghi c’è da appena tre mesi ma Dibba - che nelle sue bio virtuali si presenta come “attivista politico e reporter”, laddove aspettiamo di capire quali siano i suoi report - ha già avuto modo di sentenziare la propria verità preventiva. Ha insomma già avuto modo di ponderare un ragionamento complesso, con un nuovo libro in uscita il 14 maggio dal titolo: “Contro! Perché opporsi al governo dell’assembramento”. Noialtri per la verità aspettiamo ancora quello su Bibbiano, molto annunciato ma mai arrivato in libreria (più introvabile di una PS5 o di quello di Roberto Speranza, che è stato sì ritirato dalle librerie, ma qualche copia clandestina ancora circola).

Posizioni forti quelle di Dibba, che nel 2018 non si ricandidò nella convinzione (sbagliata) che un giorno sarebbe toccato a lui guidare il M5s e oggi si autospedisce in giro per conto di se stesso a raccontare le periferie del mondo: “La narrazione celebrativa del governo Draghi è nauseante. Nessuno che osi ricordare il passato di Draghi”, dice Di Battista presentando il libro.

“Eppure alcune sue scelte, scelte prettamente politiche, le stiamo ancora pagando. È un dovere ricordare gli anni delle privatizzazioni, il suo legame con Goldman Sachs, il via libera che diede all'acquisizione di Antonveneta da parte di Monte dei Paschi, la lettera che firmò insieme a Trichet e che commissariò, di fatto, la politica italiana”. Insomma par di capire che Dibba sia diventato finalmente un sostenitore di Berlusconi.

“È un dovere conoscere il passato per proteggerci dal presente e ipotizzare il futuro. Nel libro ho messo insieme i conflitti di interesse tra finanza e politica, ho scritto della Trattativa Stato-mafia, ho ragionato di atlantismo ed europeismo, di geopolitica, di Medio Oriente”.

Insomma, è arrivata la primavera, l’estate s’avvicina e Dibba ha cucinato un fritto misto: “Qual è il legame tra le banche d’affari e Palazzo Chigi? Dove investono i colossi finanziari come BlackRock, Vanguard e Wellington? Quanto la nuova guerra fredda è funzionale alla corsa al riarmo voluta dalla Lockheed Martin Corporation, dalla Boeing e dalla General Dynamics? Capitalismo finanziario, geopolitica dei vaccini, attacco alla classe media e alla piccola impresa”.

Il fasciocomunista ex deputato showman è quello che più di altri, anche oggi che non ne fa più parte, rispetta i canoni del M5s, che – per risollevarsi dalla sonnecchiante minorità in cui s’è infilato, quantomeno un tempo prendeva oltre il trenta per cento alle elezioni – avrebbe bisogno di uno che sale sul palco a fare comizi con il casco del motorino in mano. Dibba appunto. Un ruolo che non può certo coprire Luigi Di Maio, passato da chiedere l’impeachment di Mattarella e scendere in piazza con i gilet gialli a indossare i panni del rispettabile ministro degli Esteri.

Per questo il ruolo naturale di Dibba è l’opposizione a tutti, anche a se stesso. E se lui non è abbastanza all’opposizione di se stesso, c’è chi glielo ricorda. Come chi ogni tanto gli chiede, come se fosse ancora un deputato qualunque, “chi ti paga?”. Una nemesi. Nel 2018 si adontò così tanto per questa reiterata domanda che, in una delle sue proverbiali dirette fiume su Facebook, spiegò che lui non era “minimamente tenuto a dare certe informazioni”: “Il modo in cui io campo – e campo con la mia famiglia – lo dico in maniera molto istituzionale, non essendo io più un pubblico ufficiale, sono cazzi miei. Non so se sia chiaro. Sono cazzi miei e soltanto miei il modo in cui mi guadagno da vivere”. Contro tutti.