Editoriale

L’indignazione selettiva dei pro Palestina

Pecore elettriche

Pecore elettriche

Firenze, 17 marzo 2024 – "Israele vaffanculo" e "Odio Israele", insieme al più internazionale "Fuck you Israel", sono i cori che qualche centinaio di tifosi della curva Fiesole, senz’altro minoritari rispetto ai sostenitori della Fiorentina, ha riservato ai giocatori del Maccabi Haifa, squadra israeliana in trasferta a Firenze per la Conference League. Una protesta rivendicata anche da esponenti di Sinistra Italiana, come l’ex consigliere comunale a Sesto Fiorentino, Angelo Hu, che ci tiene a precisare che "essere contro le politiche di Israele non vuol dire essere antisemiti" (excusatio non petita), o Francesco Becchimanzi, candidato nel 2021 al consiglio comunale di Sesto Fiorentino. Sarebbe interessante conoscere la posizione del Pd fiorentino, alleato di Sinistra Italiana alle prossime elezioni comunali.

Tuttavia, precisazione per precisazione, c’è molta differenza fra criticare le politiche del governo di Benjamin Netanyahu - come è legittimo e come peraltro fanno gli stessi cittadini israeliani, anche prima del 7 ottobre, protestando contro la riforma della giustizia - e una curva che canta "Odio Israele".

Si può e si deve contestare la sproporzione della reazione di Israele, senza però dimenticare le premesse. Non un coro, e nemmeno una parola nell’ormai famoso comunicato della curva Fiesole in cui si lamentavano le restrizioni per l’accesso allo stadio, è stato riservato contro gli attentati terroristici del 7 ottobre. Nemmeno una parola per quelle donne israeliane stuprate o per chiedere la liberazione degli ostaggi. Non una parola per chiedere la liberazione di Gaza da Hamas, che è e rimane una organizzazione terroristica. Sarà che forse questo interessa meno, se non niente, ai contestatori?

La stessa domanda andrebbe girata anche a chi dieci giorni fa è andato a protestare, magari fomentato da qualche influencer, contro la presentazione del libro su Golda Meir, all’Odeon, scritto dalla giornalista Elisabetta Fiorito, o a chi a Siena ha attaccato il Rettore dell’Università per Stranieri Tomaso Montanari dandogli del "suprematista bianco, razzista, colonialista" (proprio a lui!) e accusandolo di non boicottare le università israeliane. Per non parlare di chi ha cacciato dalla manifestazione per l’Otto marzo una giovane donna, Sara, esponente della Sinistra per Israele, per aver esposto un cartello con la scritta: "Non una parola sugli stupri di Hamas. Le donne israeliane se la sono cercata?".

L’indignazione selettiva colpisce in tempi di pace, figuriamoci in tempi di guerra. Quindi bisogna accontentarsi di quel che passa il dibattito pubblico. Entro certi limiti, però. Perché, sempre precisazione per precisazione, un conto è protestare, un conto è impedire lo svolgimento di convegni, presentazioni di libri, conferenze. Come accaduto a Roma all’Università La Sapienza a David Parenzo, contestato al grido di "razzista" e "fascista", e a Napoli all’Università Federico II al direttore di Repubblica Maurizio Molinari, al quale è stato impedito di parlare in un dibattito "perché sionista".

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