Se la spinta salviniana non incide davvero più

Non è chiaro quanto potrà reggere così la leadership di Salvini, incalzato dai governatori del Nord

Pecore elettriche

Pecore elettriche

Firenze, 27 novembre 2022 - Un mese, e poco più, di governo Meloni. Forse trenta giorni sono pochi per giudicare, e in effetti ancora non s’è visto quasi niente. Molti errori sulla giustizia - dal provvedimento anti invasione per colpire, si dice, i rave party al rinvio della riforma Cartabia, per non parlare dell’annunciato “piano carceri” che serve soltanto ad aumentare le prigioni italiane, non a migliorarle - qualche lite europea, come quella con la Francia sui migranti, questione enorme che dovrebbe essere affrontata collettivamente dall’Unione europea, non poche tensioni con gli ingombranti alleati di governo sulla collocazione euroatlantica dell’Italia. Quindi è arrivata la legge di Bilancio, il cui passaggio politicamente più notevole sembra essere quello sul reddito di cittadinanza, che sarà abolito dal primo gennaio 2024. Nel governo c’è anche chi aveva proposto l’abolizione già dal primo gennaio 2023, una linea considerata alla fine troppo dura.

Meloni sembra essere convinta di avere abbastanza tempo a disposizione per lavorare. Forse ragiona sul periodo dei cinque anni di legislatura. Chi sembra avere meno tempo è Matteo Salvini, che deve dare risposte in fretta al proprio elettorato, come dimostrano la costante attenzione a un’emergenza immaginaria, quella degli sbarchi sulle coste, e il duello con le Ong.

A proposito di Salvini: ma se il leader della Lega avesse perso il tocco? È stato messo sotto tutela e sotto sorveglianza da Meloni, il cui partito cresce nei sondaggi oltre il 30%. I leghisti invece, sondaggio Swg alla mano, sono scesi al 7,6. Durante la conferenza di presentazione della legge di bilancio, Giancarlo Giorgetti, ministro dell’Economia, si è concesso una battuta: “Tanti invocavano sforamenti, si aspettavano facessimo follie, mi dispiace non aver assecondato queste aspettative”.

Come al solito, il punto è che non ci sono quattrini da buttare, quindi le follie non sono concesse. Ne sono già state fatte abbastanza. Salvini dunque si è limitato a parlare del ponte sullo Stretto, un’opera che è già costata 300 milioni, ma il Consiglio dei ministri ha deciso di riattivare la “Stretto di Messina spa”, società che nel 2013 Palazzo Chigi aveva deciso di mandare in liquidazione entro un anno e che da allora, scrive Repubblica Palermo, “è rimasta a galleggiare, accumulando altri 24,8 milioni di debiti e chiedendo un risarcimento da 325 milioni proprio al ministero delle Infrastrutture”.

Salvini non riesce a individuare insomma un’altra chiave vincente come quella della fortunata stagione 2018-2019. È riuscito a salvinizzare, come spiegava qualche giorno fa Gilles Gressani sul podcast delle Pecore Elettriche, la crisi dei migranti fra Francia e Italia, che però per il momento è rientrata perché a Meloni alla fine non conviene isolarsi in Europa, soprattutto appena arrivata. Non è chiaro quanto potrà reggere così la leadership di Salvini, incalzato dai governatori del Nord, che seppur con il garbo consono alla Lega anti-rottamatrice fanno presente al loro leader di che cosa ci sarebbe bisogno. A Salvini non è mai importato g ranché di autonomia e federalismo, tant’è che è stato lui a trasformare la Lega in partito nazionale. Adesso è il ministro delle Infrastrutture a spingere, spiegando che questa sarà la “legislatura definitiva” sul tema dell’autonomia. Promessa impegnativa, insomma, che sembra rivolta soprattutto a Luca Zaia e Massimiliano Fedriga.

[email protected]