Le occasioni perdute del centrodestra

Il centrodestra non ha soltanto scelto di ottenere risultati tutt’altro che entusiasmanti alle elezioni amministrative del 3 e 4 ottobre, con candidature civiche di scarsissima o nulla esperienza amministrativo-politica, ma di rinunciare alla propria identità

Pecore elettriche

Pecore elettriche

Roma, 29 settembre 2021 - Il centrodestra non ha soltanto scelto di ottenere risultati tutt’altro che entusiasmanti alle elezioni amministrative del 3 e 4 ottobre, con candidature civiche di scarsissima o nulla esperienza amministrativo-politica, ma di rinunciare alla propria identità. Se è vero che rispetto a 25 anni fa la domanda di valori liberali - per semplificare - è cambiata a vantaggio di una domanda di maggiore protezione, di certo non è stata utile la risposta degli ultimi due anni. La rapida ascesa di Matteo Salvini e la sua rapida fase di decadenza sono lì a testimoniarlo. Naturalmente, la Lega è tutt’altro che finita, come si augura qualche svagato dirigente del centrosinistra. Ma lunedì le elezioni amministrative potrebbero consegnare risultati negativi per Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia. Anche il centrodestra, come il centrosinistra, ha potuto godere fin di qui dell’alibi di Mario Draghi, supplente di molti, che non potrà essere certo usato a lungo.

D’altronde nella Lega, l’ultimo partito leninista rimasto, sembra già essere iniziato un congresso. O forse, Il congresso. Lo schema della Lega di lotta e di governo è noto al grande pubblico, succedeva già ai tempi di Umberto Bossi. Qui c’è però qualcosa di più. Salvini è accerchiato, ci sono due fronti. Da una parte c’è Giorgia Meloni, dall’altra - forse più insidioso - c’è Giancarlo Giorgetti, il primo dei draghiani della Lega. I problemi veri vengono dal secondo fronte, al momento. La vicenda di Luca Morisi, al netto delle questioni personali che non ci interessano, ha delle conseguenze politiche. Facilita gli avversari di Salvini, per quanto cordiali, nel percorso di avvicinamento alla leadership. Certo, né Giorgetti né Luca Zaia sono dei rottamatori alla Renzi. Il ministro dello Sviluppo economico nonché vicesegretario della Lega tuttavia riesce a dire cose affilatissime pur senza urlare. Basti leggere l’intervista alla Stampa di lunedì scorso. Fra i molti spunti, anche una critica durissima al centrodestra e alle sue scelte per le elezioni del 3 e 4 ottobre. Giorgetti ha anche detto che Carlo Calenda, avversario di Enrico Michetti a Roma, è l’uomo adatto per la Capitale: “Al netto delle esuberanze, mi pare che abbia le caratteristiche giuste per amministrare una città complessa come Roma”. Ma “i candidati non li ho scelti io”, ha subito precisato Giorgetti (li ha avallati Salvini, in effetti), che ha anche indicato uno scenario preciso per i prossimi mesi: “L’interesse del Paese è che Draghi vada subito al Quirinale, che si facciano subito le elezioni e che governi chi le vince”. Resta una domanda: posto che potrebbe essere solo un tentativo, peraltro ben riuscito, di seminare il panico nella Lega, ma il leghista draghiano Giorgetti a nome di chi parla, della Lega o di Draghi?