Caso Posta Club, il Comune vince di nuovo

Dopo la sentenza favorevole del Tar sulla vicenda degli abusi edilizi, adesso anche il Consiglio di Stato dà ragione all'amministrazione

Il sigillo all'entrata del Posta Club di Monsummano

Il sigillo all'entrata del Posta Club di Monsummano

Monsummano Terme, 23 gennaio 2020 - Sul caso Posta Club, il tribunale dà ragione al Comune per la seconda volta. Dopo la sentenza del Tar del maggio del 2018 in cui il tribunale amministrativo stabilì che gli abusi edilizi presenti nello storico locale non erano imputabili al Comune bensì al gestore che dunque doveva provvedere alla demolizione, recentemente anche il Consiglio di Stato a cui la famiglia Pacini si era appellata per impugnare la sentenza del Tar, avrebbe assolto il Comune di Monsummano da qualsiasi responsabilità in merito. Adesso, secondo quanto emerso, l'ex gestore del Posta Club che in questi anni avrebbe aperto altri due locali nei comuni limitrofi e secondo indiscrezioni pare che sia intenzionato a rilevarne un altro storico tra Pieve e Montecatini, dovrebbe provvedere a pagare l'affitto arretrato dell'ex chalet, pari a oltre un centinaio di migliaia di euro.

La storia ha radici lontane. Il Comune aveva bandito negli anni '90 una selezione pubblica per l'affidamento dei lavori di ristrutturazione e per la successiva concessione della gestione del locale. I lavori del primo lotto furono affidati alla società L'Oasi Sas e nel 1998 Cristiano Pacini e Loriana Calistri subentravano nella titolarità della società. Nel 2004 poi Cristiano Pacini presentò domanda, anche alla Soprintendenza, di concessione edilizia in sanatoria per opere di ampliamento, ristrutturazione e modifiche interne finchè nel marzo 2010 la società non stipulò con il Comune un contratto di locazione commerciale per sei anni per 30.540 euro l'anno oltre la licenza temporanea per attività di spettacolo e intrattenimento all'esterno, rinnovata poi nel luglio 2013.

Poi il blitz e nell'aprile del 2014 le forze dell'ordine effettuarono un sopralluogo da cui emerse che vi erano 540 metri quadrati di abuso edilizio e che era stata presentata domanda di condono solo su una parte finchè nel 2014 l'ufficio Suap del Comune comunicò alla società che il contratto di locazione era risolto per le ragioni per le quali il locale era stato chiuso dalle forze dell'ordine. Fu a quel punto che nell'ottobre 2014 Pacini si rivolse al Tar chiedendo di sospendere gli atti di demolizione degli abusi e quando il tribunale amministrativo dette ragione al Comune, l'ex gestore si rivolse al Consiglio di Stato in appello che tuttavia, con una recente sentenza ha rigettato tutti e nove i punti presentati in appello e sentenzia che «condanna la parte appellante (l'ex gestore Pacini ndr) alla refusione delle spese di lite in favore delle parti appellate – come si legge negli atti – che si liquidano per 3.000 euro ciascuna, oltre accessori come per legge».

Una sentenza, quella del Consiglio di Stato indirettamente favorevole anche alla partita del processo che comincerà a febbraio, per l'ex sindaco Rinaldo Vanni e la funzionaria comunale del Suap Barbara Ammendola accusati di omissione di atti d'ufficio. I due, secondo l’accusa, avrebbero omesso «di esercitare i doveri di vigilanza a tutela della sicurezza pubblica degli avventori del locale e i poteri di risoluzione del contratto di locazione».

Arianna Fisicaro