Il cuore di Ida diviso tra Francia e via Pacconi

Oggi vi proponiamo la prima parte di un nuovo capitolo del libro “Gente di Corte“ di Giampiero Della Nina

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Anche oggi vi proponiamo la prima parte di un altro capitolo del libro “Gente di Corte“ dello scrittore Giampiero Della Nina.

Ida nel 1946 aveva settant’anni. Vivevano con lei il figlio Dante, detto

Chiodo e Rinaldo, il Parigino, figlio di sua figlia Grazia che abitava in Francia, dove lavorava. Grazia ogni settimana, scriveva una lettera a sua madre, e si interessava sulle condizioni di salute di lei, chiedeva se suo figlio si comportasse bene e se la rispettasse, se il fratello Dante avesse finalmente ritrovato un lavoro; ed anche domandava dei vicini e di quello che succedeva in corte.

Ida rispondeva con altrettanta assiduità e con una calligrafia chiara, senza sgorbi o correzioni di sorta. I suoi testi erano concisi, ma puntuali e senza errori, come fossero usciti dalla penna di un letterato. Sebbene avesse frequentato la scuola soltanto fino alla terza elementare, parlava disinvoltamente francese e sapeva anche scriverlo.

Era una donna buona ed estremamente intelligente. Aveva appreso il francese molti anni prima, quando, da giovane mamma era emigrata in Francia per allattare il figlio di un ricco commerciante parigino, lasciando il piccolo Dante, in Italia, alle cure di una delle sue sorelle. E poi era ritornata in Francia alla nascita di Grazia, ed ancora una volta quando nacque Pia, l’ultimogenita. Partiva ogni volta con il cuore a pezzi, ma era necessario farlo, se voleva che Dante, Grazia e Pia avessero di che mangiare, di che vestirsi, frequentare le scuole ed avere, insomma, quello che avevano gli altri bambini. Suo marito, Elio, a causa della salute malferma, aveva potuto lavorare soltanto saltuariamente ed era morto quando i figli erano ancora piccoli. Ida si era fatta volere così bene da quella famiglia di Parigi che non passava mese senza ricevere una lettera o una cartolina da Gerard, ora uomo maturo, che aveva allattato tanto tempo prima.

Quelle lettere cominciavano tutte allo stesso modo: “Ma chère tata…”, e nella maggior parte dei casi chiudevano con “Je t’aime”, che la facevano tanto piangere. Lei rispondeva con altrettanto affetto alle lettere di Gerard e non mancava

mai di mandare un saluto ai suoi fratelli perché li aveva amati e li continuava ad amare come fossero figli suoi, sangue del suo sangue. Anche il loro padre, Monsieur Le Pic, ogni tanto le scriveva ed ogni volta le chiedeva se avesse bisogno di essere aiutata, se avesse qualche problema anche di ordine economico. Ida rispondeva sempre di no; che stava bene, che grazie a Dio non aveva bisogno di nulla.

Non era vero, ma che poteva dire ad una persona così premurosa, che già aveva accolto Grazia, poco più che bambina in casa, che le aveva offerto un lavoro nei suoi “magasins de vétement”, facendola diventare una provetta ed apprezzata commessa? Anni dopo, Grazia conobbe un giovane con il quale aveva sognato di trascorrere insieme la vita. Si sbagliava. Grazia rimase incinta e lui non si fece più vedere. Monsieur Le Pic la consolò, le prestò tutte le cure, le premure e l’assistenza finché non nacque Rinaldo, il Parigino. Un padre non avrebbe saputo fare altrettanto. Ma la generosità di quell’uomo era andata anche oltre.

Giulio, che abitava nella terza corte di Pacconi, si era rivolto a Ida, sapendola così ben introdotta in Francia, per tentare di trovare un posto di lavoro a Parigi, e Monsieur Le Pic, glielo aveva procurato e lo aveva procurato anche a diverse altre persone presentate da Ida. Giulio, purtroppo, lasciò il posto di lavoro appena tre mesi dopo, disorientato da tanto fragore della capitale francese, abituato com’era al silenzio delle notti di Pacconi e disorientato per non conoscere la lingua. In tre mesi aveva imparato una sola parola: “bonjour”, che appena tornato in paese, ripeté agli amici.

Da quel momento Giulio fu ribattezzato “Bongiur”, e tornò a fare il bracciante, a legare le scope, e quando capitava, riparava biciclette, ma non era più lui. C’era qualcosa che lo tormentava: lo notarono tutti. Della sua difficoltà ad imparare la lingua, Bongiur ne fece partecipe anche il Cherubino, nato Gino, vicino di casa che insieme a sua moglie, la Beppa, si era premurato di andarlo a trovare appena rientrato in Italia. Gino era stato soprannominato così, da quando volò, come un angelo, dalla finestra del secondo piano, a causa del suo sonnambulismo. Batté la testa e dal quel momento, si diceva, che riuscisse a connettere la bocca con il cervello soltanto nelle giornate ventose.

Il Cherubino convenne con Bongiur che la lingua, effettivamente, poteva costituire elemento di divisione fra la gente, facendo sgranare tanto d’occhi a sua moglie che mentalmente annotò quella frase per ripeterla a chi metteva in dubbio che suo marito non si fosse mai ripreso da quella brutta caduta dalla finestra.

– La lingua può costituire elemento di divisione fra la gente! – ripeteva lei per non dimenticare. Poi, quando il Cherubino apprese che a Parigi i bambini, così piccoli, si esprimevano in francese, arguì che dovevano essere molto più intelligenti e vispi dei nostri che parlavano italiano; e se lo erano i bambini dovevano esserlo anche i grandi, e proprio per questo, in Francia il fascismo non aveva attecchito. Anche questo sillogismo, sulle prime, apparve alla Beppa, degno di annotazione, ma poi riflettendo, ritenne opportuno riferire soltanto il commento del marito sulla lingua, quale elemento di divisione. Ida conobbe il nipote parigino qualche mese più tardi, quando Grazia lo portò in Italia.

Da quel momento Rinaldo visse sempre con la nonna, la quale si era intestardita di fargli frequentare le scuole superiori fino al diploma. Non aveva avuto i mezzi per far studiare i suoi figli, ma l’unico nipote doveva andare a scuola fino a grande, perché era sua convinzione che lo studio lo avrebbe reso libero.

- continua