A Paola Lucarini il Premio Basilicata per la poesia

Un prestigioso riconoscimento per il suo 'San Miniato al Monte' e la lunga attività letteraria e culturale

Paola Lucarini

Paola Lucarini

Firenze, 18 ottobre 2020 -  “Anche un giardino/ può essere prigione/ per un fiore tra le sbarre/ anche una prigione/ può essere giardino/ se il fiore tra le sbarre/ vive di cielo”. E' stato assegnato alla poetessa fiorentina Paola Lucarini Poggi il Premio Basilicata per la Letteratura spirituale e Poesia religiosa. Lucarini è dunque tra i vincitori e le vincitrici della quarantanovesima edizione del Premio letterario Basilicata, le cui giurie, presiedute da Cosimo Damiano Fonseca, Adriano Giannola e Ermanno Paccagnini si sono riunite a Potenza in videoconferenza nella sede del Centro studi internazionali Emilio Colombo. Nata ad Ancona nel 1942, Paola Lucarini vive a Firenze da dove si è segnalata sia per la sua attività di operatrice culturale sia per i suoi testi, tradotti in varie lingue e inseriti in antologie italiane e straniere, Del 1981 'Semi di ulivo', quindi altre sei raccolte (tra cui 'Dal rogo al melograno', Passigli) e nel 2002, edita da Marsilio, la raccolta 'Un incendio verso il mare' e all'antologia 'Alla vita' (Masso delle Fate, 2007). Del 2013 Per visione d'anima (ed. Ladolfi) e del 2015 Sull'onda della gioia (Nemapress). Recentemente Einaudi ha pubblicato in un volume dedicato a Primo Levi una sua intervista all'autore di 'Se questo è un uomo'. Saggista, operatrice culturale, collaboratrice di molte riviste letterarie e case editrici, è stata presidente dell’Associazione Ucai (Unione cattolica artisti italiani, sez. Firenze), membro del Direttivo del Pen Club Italiano (associazione impegnata per la libertà di stampa e di parola nei Paesi non democratici), membro del direttivo dell’Associazione “Segni e Tempi” da lei fondata con Mario Luzi, giurata nel Premio letterario Camaiore. Ha guidato per molti anni l’associazione ‘Sguardo e sogno’, insieme ad altri autori e interpreti. Un gruppo tenace eppure discreto che ha consentito uno spazio di lettura e di promozione, alla poesia soprattutto, ma senza trascurare altre arti, come le figurative e la musica. Ha realizzato negli anni una serie di interviste per la rivista “Firme nostre” di Antonio De Lorenzo che l’ha portata in contatto con grandi scrittori italiani quali Betocchi, Bigongiari, Bo, Caproni, Guidacci, Levi, Luzi, Ruffato, Spaziani e molti altri. Queste interviste, delle quali conserva i nastri, rappresentano un prezioso archivio di una lunga stagione della cultura italiana. A Paola Lucarini il Basilicata ha dunque riconosciuto la lunga attività nella versificazione e nella promozione letteraria che ha trovato culmine nel suo libro 'San Miniato al Monte' edito da Passigli, con l'introduzione dell'abate Bernardo Francesco Maria Gianni e la prefazione di Carmelo Mezzasalma: 77 poesie in sette sezioni (San Miniato al Monte, La Storia, Benedettini, Il monaco poeta, Vivi e sempre Vivi, Meditazione e contemplazione, Ghirlanda di luce). Le recenti liriche di Lucarini individuano risposte alle ferite del vivere, senza finzione, e gratitudine a Dio e al bene che si sperimenta e si incontra. “Il sole dei morti – scrive - è il più vivo/ sta nel cuore di chi/ si abbandona all'abbraccio/ del mondo da sempre sognato”. Abbraccio che non può esistere davvero, se non si fa spazio agli altri: “Ti farò posto in me/ perché tu abbia ancora/ la voce e un tuo dire/ possiamo così attraversare/ il tempo di ogni pena/ subita e inferta/ siamo un'isola di memoria/ un oceano di pianto,/ nell'universo a distanza anni luce/ due stelle in una”. Nella storia degli esseri umani la presenza del Cristo si manifesta oltre i calcoli che si possono fare: “Nella cella all'ora della cena/ tu e il pane della solitudine,/ della condivisione, lo fissavi/ senza spezzarlo, si spezzò da sé/ o almeno così parve./ Invisibilmente Lui apparve”. Fin dal prime liriche dell'autrice, emerge subito un tema che sarà ricorrente: la figura del padre e attraverso il “padre che sei nel Padre” la riflessione sulla presenza di Dio. La versificazione, libera, dove l'attenzione si appunta sul gusto della pausa e – caratteristica continuativa in Paola Lucarini – sull'ossimoro. C'è una venatura autunnale che fa da contraltare al suo gusto di voler vedere le cose per annullare il tempo, attraverso la contemplazione e il pellegrinaggio. “Ripenso alle nostre corse di un tempo/ora che ci siamo fatti tempo”. L'astrazione da sé, il vedersi dal di fuori avviene in 'Bosco d'autunno' attraverso il padre che sente la fine: “Bosco d'autunno:/ un pretesto le castagne/ per lasciarti solo/ con gli alberi/ ti ritrovai a terra/ - groviglio di sterpi sanguinanti -/ innocente selvaggina/ che cacciavi un tempo/ adesso era il bosco a cacciarti/ stupito le vedevi per la prima volta/ “l'ultima” dicesti./ Al ritorno non parlasti”. In Dei fuochi la neve ardente (Hellas, 1989) stilisticamente si fa più forte l'ossimoro, attraverso il contenimento della passione nel ghiaccio, o del fuoco nella neve. Dio è cercato e trovato e quando questo accade, lo sguardo si sposta alla città. E anche qui Lucarini contempa vedendosi come se non esistesse più: “Città del silenzio/ quanta forza/ sulla bocca di marmo solenne./ Chi di noi potrà/ sostenere con te il dialogo?/ Se l'uomo non si fa vero/ non entra nel vero,/ se non si fa cielo/ non entra nel cielo della vita./ Non dirò il passo/ né se fu di sole la luce/ né se fui io quella/ che traversò la piazza/ deserta a un'ora non deserta/ d'occhi d'ombra:/ certo “mi” vidi/ aria e ombra/ se uomini e piccioni/ non s'accorsero di me./ “A volte capita/ di vivere il futuro”/ confermi tu/ che dall'angolo appartato/ di libri e foglie/ oltre vedi”. Lucarini rivela anche il dato connaturato dell'inquietudine, un dato antropologico, originario, espresso in termini ungarettiani: “… una venatura/ ci trapassa dal primo/ all'ultimo giorno/ incisa nel cuore”. Con Fiori dallo stagno di inchiostro (Lacaita, 1985 ) Lucarini omaggia Marina Cvetaeva (1891-1942), la poetessa che non potendo più amare i propri cari mise fine alla propria vita nella Russia di Stalin (“…. vedrai – in miracolo - / avverarsi la rosa dallo stagno d'inchiostro/ quel fiore di sangue dalla gola blu”). Paola Lucarini parla più esplicitamente della passione amorosa ma anche dell'incontro con chi fa il senso della nostra vita. Ne 'L'incontro' “...Sapevo che esistevi/ Ti ho incontrato un attimo./ Ho incontrato l'attimo./ Saprò sempre che esisti...”. In Dal rogo al melograno (Hellas, 1989; Passigli, 1992) torna la figura del padre. I cari amati sono gli occhiali con cui si ripensa se stessi: “Più mi allontano dalla tua morte/ più m'avvicino a te...”. Si contempla il proprio umano destino alla luce di quello dei genitori. Qui il padre, mentre nelle poesie più recenti sarà la madre. Rimangono irrisolti alcuni nodi esistenziali in un'età di mezzo, ma in questo libro si fa forte il rifiuto di una deriva estetica: “... Voglio aderire alla mia età/ ai cerchi della querce.../ … allegrezza di un'ora/ che sta per trasformarsi/ in freschezza gentile”. Del '92 è Vita inconoscibile tu infiori (Tacchi Editore), quindi, del '93, La parola verso il segno il segno verso la parola, libro d’arte in collaborazione con Artemisia Viscoli, mentre nel 1994 esce La casa dei quattro eventi (Nuova Compagnia Editrice), con cui si celebra il ritorno alla casa antica e la memoria del padre. E' quasi un'appendice dell'adolescenza necessario ad assumare la maturità: “… Sciamano schiamazzando/ ridendo grida parole/ in festosa fiera fuori di scuola/ oggi i ragazzi di sempre/.../ mi torna in gola/ quel trillo di nido/ e mi fa più male/ il male e la distanza”. L'autrice si ripensa bambina per sfuggire all'autunno e alla pericolosa deriva del rimpianto che si esprime in questi versi: “Quando capita un evento a tradimento/ in un'età già corrosa dalla polvere/ ti guardo da lontano...". Ne Il pozzo la rocca (ed. Cantagalli, 1996) Lucarini puntualizza la sua ricerca misurandosi con i grandi dello spirito, in questo caso Santa Caterina da Siena. Si evidenzia per la prima volta, con più robustezza, la poesia del sacro, con parole che puntano a disegnare la testimonianza del Vangelo nella vita della città: “Signore, forgiami come ferro/ al Tuo volere, ch'io esca/ dal bosco di me/ incontro a selve di spine/ e a città dell'uomo/ dove in ogni finestra si riconosca/ un tabernacolo di crocifisse morti/ e nascite, dove il tempo della pena/ si chiuda nel Tuo nome”. Con Un incendio verso il mare (Marsilio, 2002 ) l'espressività è più matura perchè è più robusta la consepevolezza di sé. Luzi osserverà che in Lucarini il discorso procede verso il suo interno, “una conversione della frase dall'uso corrente, a una sua più intensa e segreta pronunzia... questo quasi ascetico macinare i dati della propria esperienza...”. I versi che seguono ne sono un esempio: “La rosa rossa di città/ freme di arrivare/ - freccia al bersaglio – fra autobus e auto/ diretta al cuore/ anche le scale di corsa,/ trafelata a ritentare a ritroso/ il tempo, se è l’orologio/ del desiderio ad animarlo”. In “a Giovanni” l'esperienza dello smarrimento guardando indietro e guardando altrove: “… Ho pensato oggi di lasciare per sempre/ questa casa – come si lascia la vita - / e di lei in me vorrei portare... tutto.../ … Seppi allora di avere sempre amata/ la mia strada, e dimenticata, quasi ne piansi...”. Lucarini ritrae Maria di Magdala: “Dinanzi agli uomini/ deposi la cesta dei peccati/ che tutti vedessero/ giudicandomi indegna/ ma se uno di loro soltanto/ crede a queste parole/ quanto più grande apparirà/ nel mio fragile trasparente vetro/ la tua forte sostanza, Signore”. Con Masso delle Fate Lucarini dà alle stampe Alla Vita, nel 2007. Passeranno circa sette anni perché, con Ladolfi, esca, nel 2013, Per visione d'anima: 118 poesie in 9 sezioni, che idealmente e anche pragmaticamente sono poste sotto il sigillo mariano della prima, frutto di un pellegrinaggio a Medjugorie. C'è un punto di fondo da cui parte la nuova riflessione in versi di Paola Lucarini, presentato in questi termini: “E' l'ora dei giardini di marmo/nel cuore. Mi aggiro stranita/lungo labirinti di anni”. Vi è qui il distillato di quanto esplorato ne 'La perdita e il dono', ne 'Il dolore e l'aratro' e anche in alcuni testi dell'ultima sezione che si riconnette idealmente alla prima: 'Dalla sorgente alla sorgente', dopo aver sperimentato la fragilità fisica e della vita in sé nelle sue diverse forme. Queste sezioni sono precedute da 'Rileggendo la vita' e 'Il vetro rifletteva cielo', dove la dimensione del ricordo si fa strutturata a cogliere le grandi linee dell'esistenza, mentre nei 'Riti della vita naturale' Paola Lucarini coglie nelle stagioni e nei luoghi il messaggio che porta oltre. Si è di fronte a una di alta maturità stilistica, ancorata al contenuto di ciò che rimane quando, finalmente, si fugge “la serpe della fretta”: resta il volto degli altri, l'invocazione per un mondo riconciliato oltre l'orgoglio di sé, la fragilità che si fa risorsa e il gusto dell'ironia che trasforma una tavola estiva in parabola dei vivere. due testi che mi sembrano individuare un nuovo felice filone che l'autrice ha cominciato a esplorare con mite ed efficace ironia. Ironia, non sarcasmo. Il primo: “C'è chi affetta un cocomero/dalla faccia rubizza/occhi lucidi umidi/così si sgozza in allegria/la disperazione/s'inghiottono gustori gridi/fiamme di dolore/microstorie trascurabili/coltello e sangue e gioia./Violenza dell'estate”. Il secondo, come uno scherzo: “C'era una volta.../aprii i libri delle fiabe/tu apparisti, principe azzurro./Fu anni e anni dopo /quando scendendo da cavallo/lasciasti cadere/piume cappello e mantello/che compresi il nostro incontro,/a Carnevale”. Ne 2014 a Paola Lucarini viene attribuito un prestigioso riconoscimento per la sua attività di scrittrice e di promozione culturale riconosciuta a livello internazionale. La Giuria della Poetica Apollinaris, infatti, le assegnato la Laurea 2014 nell'Università pontificia salesiana di Roma. Sull'onda della gioia, del 2015, è una sorta di “libretto” per una rappresentazione teatrale a più voci di un colloquio su Giovanni Bosco. Tra le composizioni, ne emerge una che esprime una visione della poesia: “...perché una poesia sia finita/ va lasciata incompiuta/ affidata all'infinito:/ anche questo lui sa”. San Miniato al Monte, infine, scritto in occasione del millenario della basilica ed edito da Passigli, punta lo sguardo su ciò che sarà “la storia dopo la storia”, con tratti prevalentemente corali che si intrecciano con quelli personali. Michele Brancale  

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