Gurrieri
Firenze può davvero vantarsi di esser stata crogiuolo di sperimentazioni d’avanguardia culturale, linguistica, politica. Soprattutto in quella couche di cultura cattolica che, con felice intuizione aprì, nel Paese e nell’Occidente, un ruolo dinamico e pragmatico, non solo contemplativo e spirituale ma piuttosto in quello sempre aperto e dialogante con tutti i fratelli cristiani, ebrei, musulmani, insomma interreligioso. Senza scomodare le profonde radici cristiane della città, dai benedettini ai domenicani, ai francescani e ai loro grandi complessi conventuali che hanno costituito il telaio urbano ddi Firenze, muoviamo pure da quel ’900 che fu una delle stagioni storiche della riconosciuta primazia delle “cattedre laiche” dei caffè letterari di piazza Vittorio. Lasciando a sé Dalla Costa, Facibeni e il gruppo di sacerdoti che ne costruirono il mito, occorre ricordare figure come Lisi, Bargellini, Betocchi (e l’intero cerchio del “Frontespizio”). Poco più tardi c’è il gruppo degli “ermetici” che, se non tutti, furono in buona parte sostanzialmente cattolici dichiarati, come Carlo Bo, Mario Luzi, Alessandro Parronchi (nota l’autodefinizione di Bo quale “cristiano imperfetto”). Di questi, Luzi fece i conti con la politica che, inizialmente, lo colpevolizzava per la sua neutralità; nella poesia “Presso il Bisenzio” (‘Nel magma’, 1963. E da lì, il suo linguaggio lirico guardò sempre più in alto. Non a caso, San Miniato al Monte fu la sua virtuale cattedra fra cielo e terra. Non a caso, alcuni giorni fa, si è voluto ricordare da quell’aula a tre navate, con alle spalle il tabernacolo policromo di Michelozzo. Un sigillo di laicità cristiana, a cui, con l’abate Bernardo, hanno portato il contributo interpretativo e amicale Sergio Givone, Carlo Lapucci, Gloria Manghetti, Davide Rondoni, Ernestina Pellegrini, coordinati da Marco Marchi e accompagnati dalle letture di Federica Miniati.