Anche l’Uzbekistan ha avuto la sua Avanguardia di inizio Novecento, una rivoluzione artistica poco nota al grande pubblico, che però riallaccia e connette il dialogo culturale di questo Paese alla stessa Avanguardia russa e l’arte dell’Asia Centrale in generale.
Una testimonianza di questa originale fioritura pitturica e non solo, è raccontata dalla mostra che apre oggi a Palazzo Pitti nell’Andito degli Angiolini (fino al 30 giugno, e in contemporanea a Ca’ Foscari Esposizioni a Venezia, (fino alla fine di settembre). “Uzbekistan: l’Avanguardia nel deserto” è il titolo della rassegna promossa e sostenuto dalla Fondazione Uzbekistan Cultura, a cura di Silvia Burini e Giuseppe Barbieri.
Le 150 opere, soprattutto dipinti su tela, sono affiancati da una selezione di testimonianze della tradizione tessile uzbeka, e provengono dal Museo Nazionale di Tashkent e dal Savitsky di Nukus. La sezione fiorentina a Palazzo Pitti ha per sottotitolo “Alla luce e al colore“, che deriva da un passo dell’Autobiografia di Igor’ Savickij: "Questi luoghi sono caratterizzati da un colorito sottile, dove il colore in un’infinita varietà di combinazioni e armonie, ti forza ad arricchire la percezione ed ammaestra l’occhio a essere particolarmente sensibile a queste variazioni raffinatissime". Nelle opere, realizzate negli anni Venti e Trenta da Volkov, Tansykbaev, Karachan, Nikolaev (Usto Mumin), Elena Korovaj, Nadežda Kašina e molti altri,indipendentemente che siano stati creati a Samarcanda, Bukhara o Tashkent, si entra in un mondo incantato, pieno di colori, luce, osservazioni vivide e connotazioni simboliche, che derivano da tradizioni occidentali, russe e orientali: un mondo che esisteva ben prima che gli artisti lo raffigurassero.
Olga Mugnaini
Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro