Michele Manzotti
Firenze

Il fascino del jazz secondo Sergio Caputo

Il cantante all'Obihall presenta il suo nuovo album

Sergio Caputo

Firenze, 15 maggio 2015 _ Dall'Italia agli Stati Uniti e ritorno. Forse una soluzione che tanti musicisti invidierebbero: successo nel nostro paese, perfezionamento Oltreoceano, quindi un rientro con le spalle sufficientemente larghe per affrontare un mondo necessariamente diverso. Sergio Caputo, tanti sabati italiani fa, ha dato la sua impronta alla canzone nazionale con una buona dose di ironia legata all'ispirazione melodica. Trent'anni dopo esce Pop, Jazz and Love (Alcatraz Moon Italia) registrato tra Roma, Parigi e Londra. Per scoprire il nuovo Sergio Caputo dal vivo si può ascoltarlo all'Obihall stasera alle 21 (Info www.sergiocaputo.com, www.bitconcerti.it)

Pop e jazz sono le due strade importanti della sua carriera musicale. Sono nate insieme, oppure il pop (con il successo di pubblico) è arrivato prima del jazz?

«Come tutti, ho coltivato prima il pop. Il jazz sicuramente non si sentiva normalmente alla radio. In seguito, ovvero non appena sono stato abbastanza grande da uscire la sera e frequentare locali e club, mi sono appassionato al jazz. E allora mi sono chiesto perchè nessuno scrivesse più canzoni jazz, così l'ho fatto io e ho iniziato a travestirle da pop. Questi sono gli ingredienti del mio stile».

E quale tipo di jazz ha ispirato il Sergio Caputo compositore-esecutore?

«Soprattutto il jazz suonato, e in particolare sassofonisti come John Coltrane e Charlie Parker, oltreché trombettisti come Dizzy Gillespie e Bowie (questi ultimi due ho avuto la fortuna di incontrarli)».

La composizione per Caputo da dove parte, dalla musica o dal testo? E se sì nel primo caso ,da quale strumento?

«Sempre dalla musica, con qualche parola in inglese nei "punti chiave". L'ispirazione mi raggiunge nei momenti più impensati e non sempre ho la mia chitarra a portata di mano; per cui l'iPhone è il mio registratore per fissare le idee che mi piovono addosso. La maggior parte delle canzoni di Pop, Jazz and Love sono nate sul mio telefono. E poi, per paura di cancellarle per sbaglio, trasferite su computer alla prima opportunità».

Quale ricordo ha dell'esperienza Folkstudio?

«Fumosa, letteralmente ...»

Un sabato italiano è l'album per cui è conosciuto al grande pubblico. A distanza di tempo come ricorda la sua lavorazione.? Soprattutto quale posto ritenga che abbia nel suo percorso artistico?

«E' l'album che mi ha portato alla popolarità, e come sempre in questi casi, la gente tende ad associarmi a quello. Una cosa è certa: questo album ha scavalcato trent'anni generazionali, costringendomi a farne un remake per attualizzarlo, e per così dire "classicizzarlo" in chiave più jazz. Credo di esservi riuscito, e credo di poter dire che il sound di questa ultima versione non invecchierà».

Ogni musicista vive l'esperienza di Sanremo in modo personale. Qual è stato il suo?

«Le tre volte che vi ho partecipato ero un artista vincolato alle major, e la massima aspirazione di una casa discografica grande o piccola è di avere un artista a Sanremo. La prima volta ci sono andato volentieri, la seconda mi hanno praticamente costretto, la terza ero consenziente ma demotivato, e infatti mesi dopo mi trasferii in Usa e ci rimasi fino a tre anni fa».

Oltre alla demotivazione per Sanremo c'era qualcos'altro?

«La vita mi ha portato lì, così come molti anni dopo, mi ha riportato qui. Gli Usa non sono solo un paese diverso dal nostro, si tratta proprio di un altro pianeta. Ora sarebbe troppo lungo descrivere la mia esperienza in queste poche parole, ma sicuramente stare lì e lavorare lì - vicino alle mie radici di ascoltatore - mi ha arricchito sia musicalmente che professionalmente, e oggi mi sento un musicista "maturo"» .

Come è nata invece l'esperienza del romanzo?

«Tutti mi chiedevano "ma quando lo scrivi un libro?", finchè una volta me lo ha chiesto la Mondadori. Il secondo libro, invece, volevo scriverlo davvero. Un sabato italiano memories non racconta solo la mia vita nel periodo in cui scrivevo quelle canzoni: è anche il ritratto di un'epoca sospesa fra due decenni, e le emozioni tipiche di un'età che tutti attraversiamo».

Oggi il mercato discografico è totalmente cambiato rispetto a qualche decennio fa. Cosa si aspetta dalla realizzazione di questo nuovo album?

«Per me Pop, Jazz and Love è un album di svolta, in cui ridefinisco il mio stile, e adotto l'inglese (mia seconda lingua, lo ricordo) come lingua ufficiale della musica. Secondo me è un album che marcherà la mia storia per parecchio tempo. Ho avuto la fortuna di assistere di persona alla nascita di iTunes - cioè della nuova era della musica - nella sede della Apple in California, con Steve Jobs che passeggiava avanti e indietro sul palco e ci spiegava come sarebbe cambiato l'approccio della gente alla musica».

Un fatto positivo secondo lei?

«Le cose sono molto cambiate nell'era digitale, ma a parte la follia collettiva dei telefonini e dei social, sento che l'Italia non è ancora entrata nella nuova era. Così siamo sospesi in un limbo in cui i negozi di dischi non ci sono più, ma la gente è ancora restia a comprare la musica online. Oggi i dischi si fanno per venderli ai concerti, e per supportare un tour, oltreché naturalmente per documentare l'itinerario di un artista. Mi auguro che le vendite digitali sostituiscano una volta per tutte quelle dei dischi di una volta».