Non crediamo più a niente. Neppure alla resa

Sulle dimissioni di Zingaretti

La direttrice de La Nazione Agnese Pini

La direttrice de La Nazione Agnese Pini

Firenze, 7 marzo 2021 - Mi ha colpito una cosa, circa le dimissioni del segretario del Pd Nicola Zingaretti, e cioè che l’interpretazione a caldo di buona parte dell’opinione pubblica, compresi amici veri o presunti di Zinga e del partito, sia stata la seguente: è tutta una finzione. A fronte della drammaticità di un gesto come le dimissioni, molti erano disposti a non scommettere sulla buona fede del protagonista. Ed è utile riflettere su questo modo di vivere l’agone politico, e di percepire i suoi leader: talmente cinico che neppure il passo indietro (o «di lato», per citare lo stesso Zingaretti) di un capo riesce a scalfire la patina di disincanto che viene ormai spontaneo nutrire per la classe dirigente.

Immaginate, per restare a sinistra, se si fosse dimesso un Berlinguer. Immaginate, per andare a destra, se si fosse dimesso un Almirante. Nessuno avrebbe osato anche solo pensare, figuriamoci dire: è una manfrina per farsi rieleggere e riacclamare al prossimo giro di giostra (nel caso del Pd: l’Assemblea nazionale del 13 marzo). Questo la dice lunga sullo stato di salute dei nostri partiti. Le dimissioni in politica sono (erano?) una scelta solenne.

Che inevitabilmente terremota gli equilibri, denuncia abusi, sottolinea storture, inchioda i nemici e scardina le correnti. E allora: mi sarei aspettata un dibattito sulla scelta di condividere o meno una decisione grave come le dimissioni. Sull’opportunità, per un leader, di lasciare proprio in virtù del momento tanto grave che il Partito Democratico sta vivendo, per sua stessa ammissione («mi vergogno...», cit).

La resa è sempre rispettabile, ma non sempre accettabile. Su tutto questo gigantesco tema ho visto davvero poco: ho visto, invece, un partito prontissimo a pensare al successore, perché morto un papa se ne fa inevitabilmente un altro, «magari donna» – come ho sentito ripetere nelle ultime ore – secondo la consuetudine distorta che usa la quota di genere per mascherare il clima di tensione e sbandamento, per simulare un rinnovamento profondo che avrebbe bisogno di ben altre prerogative. In primis: quale direzione prenderanno adesso i Democratici? Dimessosi il segretario che propugnava l’alleanza coi 5 Stelle, verrà meno anche quel progetto? In attesa di conoscere le risposte, restiamo sul clima della farsa. Ieri Grillo si è proposto come segretario Pd. Ci mancava giusto lui.