Verso la riapertura del Paese. Poche idee e molti (inutili) protagonismi

L'editoriale della direttrice de 'La Nazione'

La direttrice de La Nazione Agnese Pini

La direttrice de La Nazione Agnese Pini

Firenze, 26 aprile 2020 - Abbiamo fatto tanta filosofia nei giorni più neri dell’isolamento – e forse l’abbiamo fatta proprio per esorcizzare il senso di perdita, di vuoto e di paura – su come sarebbe diventato questo nostro Paese dopo la pandemia.

Abbiamo sprecato il fiato a parlare di lentezza, tecnologia, ecologia (a proposito, l’Arno non è mai stato così bello quanto ieri, così limpido e turchino) ed ecco: non appena l’emergenza sanitaria più nera è passata in cavalleria, e nel dibattito quotidiano al bollettino dei morti è subentrata la caotica e affannosa corsa alla riapertura del Paese, ogni proposito è stato semplicemente cancellato dalle agende. Di tutti.

Ad esempio: ho visto molti proclami di bandiera e poca sostanza nel teatrino delle varie Regioni impegnate ciascuna in un’assurda gara a chi riapre prima il Paese, facendo galoppare da Nord a Sud fantasiose ordinanze e inutili protagonismi.

Prendiamo il grande dibattito sulla possibilità di far ripartire già dal 27 aprile, ovvero domani, alcuni settori produttivi legati all’export e quindi più sensibili ai capricci del mercato: la Toscana si è fatta capofila della battaglia, poi persa all’ultimo tuffo. Una battaglia legittima, dato che una cospicua fetta del nostro Pil fa capo proprio al comparto tessile e manifatturiero.

Tutto giusto, dunque, ma con un problema: l’economia non funziona per compartimenti stagni, è al contrario una rete in cui ogni filo si interseca con l’altro, per garantire sì le attività produttive, ma anche il benessere minimo di chi quelle attività è chiamato a svolgere.

Senza contare tutto il contesto legato alla sostenibilità sociale e ambientale. Ed è qui che si è toppato. Come si fa, ad esempio, a fare battaglie per riaprire una fabbrica e a non pensare ai servizi essenziali (uno su tutti: la mensa), ai figli dei dipendenti (senza scuola e senza nonni), al trasporto pubblico (clamorosa la posizione del Governo che in uno degli ultimi dispacci auspicava, salvo poi correggere il tiro, di scoraggiare il più possibile l’uso dei mezzi pubblici).

Dopo tutti i buoni propositi di cui sopra, il rischio è che si torni a lavorare in macchina, con buona pace delle nostre strade e dei nostri cieli, che nelle famiglie uno dei due genitori (tradotto: la mamma) debba prendersi il congedo per stare dietro ai bambini, che la sensazione di smarrimento e di solitudine che già oggi i cittadini respirano a quasi ogni livello sociale sia destinata a inasprirsi.

La politica, quella alta e buona, è assente, o affetta da presenzialismo inutile. Le idee, invece, continuano a essere poche e confuse. E a una settimana e spiccioli dal fatidico 4 maggio nessuno è ancora in grado di immaginare come saremo e cosa faremo.