ll 25 aprile dalle parole ai fatti

La realtà oltre la retorica

Agnese Pini, direttrice de La Nazione

Agnese Pini, direttrice de La Nazione

Firenze, 24 aprile 2022 -  Difficile fare i conti con parole come libertà, pace, resistenza, democrazia, quando le fai scendere dal piedistallo autoreferenziale della retorica e le cali nel concreto e nel quotidiano, nella cronaca che ormai è già storia. E che è piena di contraddizioni, di violenza, di dolore, di zone grigie, di angoscia come di pietà, di incertezza e di speranza come di paura. Difficile parlare di libertà e di pace quando l’esito dello scontro resta incerto, quando non ci sono ancora vincitori all’orizzonte, quando i destini di popoli e nazioni sono appesi a un filo. Quando ti trovi a sporcarti le mani, perché una guerra ce l’hai dietro casa, e allora devi fare una scelta: da che parte stare?

Così, mentre la storia entra con prepotenza nelle nostre vite e torna a travolgere l’Europa con la sua carica di brutalità, l’annuale polemica sul 25 aprile – immancabile, immutabile – si riempie di un significato nuovo. Se fino all’anno scorso ci accapigliavamo su Bella ciao, oggi dobbiamo fare i conti con la realtà. Perché le parole libertà e pace hanno un termine di paragone che è carne viva: l’invasione dell’Ucraina, la resistenza contro l’esercito russo, i massacri verso un popolo inerme e stremato, città intere rase al suolo, come Mariupol, stragi e disastri umanitari.

A incendiare soprattutto una certa parte della sinistra c’è ancora, a due mesi dallo scoppio del conflitto, lo sterile accapigliarsi sul mito dell’equidistanza a tutti i costi (né con Putin né con l’Ucraina). Ebbene, neppure il Papa, che all’indomani della strage di Bucha si è mostrato con la bandiera giallo-azzurra, arriva a tanto. Ora: chi predica la famosa equidistanza (che nell’ultima versione polemica si declina con il no-alle-armi-a-Kiev) viene definito filo-putiniano. Non sono d’accordo: non è tanto il sostegno a Putin, quanto il sentimento anti-americano e anti-atlantista a rinfocolare il mito stanco dell’equidistanza.

Che in questo caso significa inazione. Al contrario, aiutare con ogni mezzo il popolo ucraino a Liberarsi (proprio così), non significa essere per forza appiattiti sugli Usa. Significa invece costruire a livello teorico, e quindi politico, un modello di azione e di intervento che abbia una vocazione europea (questo sì), meno assoggettata alla dipendenza atlantica (questo sì), con un’Unione che sappia davvero fare fronte comune su un’emergenza che la riguarda tanto da vicino. Significa, molto semplicemente, «non arrendersi alla prepotenza», come ci ha ricordato venerdì il presidente Mattarella. Non voltarsi dall’altra parte, perché altrimenti l’equidistanza diventa indifferenza, e il pacifismo una bandiera sospinta dal vento inutile della retorica. Scrisse, nel 1917, Antonio Gramsci: «Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti». Ecco cosa significa, secondo me, Resistenza.