Non è vero che non ci resta che piangere

L'editoriale della direttrice della "Nazione"

La direttrice de La Nazione Agnese Pini

La direttrice de La Nazione Agnese Pini

Firenze, 25 ottobre 2020 - Forse davvero non ci resta che piangere? Riguardavo qualche sera fa il film stracult con Troisi e Benigni, quello che si intitola proprio così, Non ci resta che piangere, e l’ho riguardato soprattutto perché avevo una gran voglia di ridere, ora che le tensioni e la rabbia sociale, ora che il malcontento, la paura, i contagi, la malattia tornano ad avere il sopravvento sul buonsenso e sulla misura, su quel poco di tenace ottimismo di cui avevamo fatto scorta nella prima parte dell’estate, sotto un sole caldo e rassicurante, illudendoci di essere fuori dalla pandemia. E così a quel film con quel titolo meraviglioso, e a quella domanda che non ha nulla di retorico in questi tempi strani e difficili che viviamo, ho ripensato molte volte negli ultimi giorni.

Ci ho pensato mentre una settimana fa vedevo il nostro premier Giuseppe Conte paventare misure restrittive senza annunciarle davvero, delegandole però a sindaci e regioni. Ci ho pensato l’altro ieri mentre guardavo il video del governatore Vincenzo De Luca che minacciava nuovi lockdown con toni da operetta, sventolando tac di polmoni sfiancati dal virus, come se la tragedia e il dolore e la paura per il futuro di centinaia di migliaia di suoi cittadini fosse una farsa da fiction, e il covid un ennesimo slogan accalappia like. Ci ho pensato osservando sgomenta venerdì sera quegli stessi cittadini marciare a Napoli contro De Luca, e insieme a uomini e donne, lavoratori, ristoratori, artigiani e negozianti, insieme a loro - dicono i cronisti sul posto - camorristi e ultras che lanciavano bombe carta, invocavano una libertà priva di senso, bruciavano mascherine, inneggiavano rivolte. Ci ho pensato sentendo i sindaci di mezza Italia, anche quello di Firenze, chiedere alle famiglie e ai ragazzi di stare a casa il più possibile, perché gli ospedali già scoppiano e ancora non è finito ottobre. Ci ho pensato sentendo gli opinionisti berciare contro la capienza dei bus («è troppo alta»), e sono gli stessi opinionisti che due mesi fa si stracciavano le vesti contro il comitato tecnico scientifico che voleva tenerla al 50 per cento («pazzi, è troppo bassa», dicevano). Penso quasi ogni giorno, non so voi, al fatto che forse davvero non ci resta che piangere, ma poi ho pensato che anche un’altra cosa ci resta. Ed è essere responsabili, ciascuno di noi per quello che può, anche per coloro che responsabili hanno mostrato di non esserlo: con politiche sbagliate e inefficaci, con slogan sconsiderati. In una intervista di qualche anno fa, Benigni raccontò che il titolo di quel fantastico film Troisi lo prese ispirandosi ad alcuni versi che Petrarca indirizzò all’amico Barbato di Sulmona. Dicevano così: «Non tutto in terra è stato sepolto: vive l’amor, vive il dolore; ci è negato vedere il volto regale, perciò non ci resta che piangere, e ricordare».