REDAZIONE ECONOMIA

Prezzi agricoli sempre più bassi: a rischio economia e salute dei consumatori

A lanciare l'allarme è Leonardo Comucci, analista dell'economia delle aziende vitivinicole

Comucci durante una delle conferenze organizzate per Il Santuccio

Firenze, 10 settembre 2020- «I prezzi dei prodotti agricoli si sono così ridotti da mettere a rischio salute, ambiente, lavoro e legalità nella nostra società». Queste le parole di Leonardo Comucci, anallista dell'economia delle aziende e presidente dell'Associazione Il Santuccio «Va ripensato il mercato agroalimentare e devono essere sensibilizzati i consumatori. Da diversi anni si assiste ad una riduzione del compenso dato ai nostri produttori per i prodotti agricoli, seppure di ottima qualità. L’agricoltura e l’allevamento non sono più in grado di compensare adeguatamente chi lavora nel settore, e questo è un fenomeno che diventa ancora più preoccupante nelle zone montane». A detta di Santucci si salvano soltanto i prodotti agricoli che rappresentano la novità del momento, in una prima fase solitamente di importazione, legati principalmente a fenomeni di moda a breve termine. «Le ragioni del perché il valore dei prodotti agricoli sia diminuito così velocemente -commenta l'analista- sono da ricercare tendenzialmente nelle leggi di mercato: da un lato la grande distribuzione organizzata è sempre più in grado di imporre il suo prezzo, a fronte ad agricoltori e allevatori che, pur difesi egregiamente dalle rispettive categorie sindacali o nell’adesione a consorzi di tutela, sono comunque costretti a cedere i loro prodotti a prezzi molto competitivi pur sopravvivere. Il problema principale è che il prodotto agricolo arriva poi al consumatore finale ad un prezzo che risulta invece elevato e questo principalmente a causa di una filiera di intermediari che rimane terribilmente lunga. Sui campi italiani un chilo di pomodori da passata viene pagato 8 centesimi, il grano duro 20 centesimi, le arance dagli 8 ai 10 al chilo e un litro di latte di pecora 55 centesimi, con oscillazioni di circa un 10 per cento a seconda della stagionalità e della zona di produzione. Esiste qualche eccezione di grandi catene che riescono a mantenere leggermente più alto il corrispettivo versato agli agricoltori, creando un modello di filiera apparentemente semplare e dimostrando come l’etica possa essere efficace oltre che giusta; in realtà anche in queste operazioni c’è spesso molto marketing e quella che in origine era una buona intenzione non porta nessun significativo miglioramento di lunga durata ai nostri agricoltori e allevatori».

Sono soprattutto i produttori delle zone montane che vedono i loro compensi ridursi per via di una filiera che non ripaga dei costi sostenuti. «Le zone montuose sono marginalizzate, in termini sociali, politici ed economici -spiega Comucci-, ma sono anche le zone dove i prodotti agricoli e di allevamento garantiscono maggiori qualità organolettiche e di salubrità. Risulta evidente che dare una remunerazione adeguata ai produttori di montagna sarebbe legittimo, ma è necessario sensibilizzare le persone sul fatto che le filiere devono impegnarsi a promuovere i loro prodotti rispettando l’ambiente, ma anche la salute dei cittadini; in questo senso un risparmio illusorio può tramutarsi in costi enormi per la sanità. Basti pensare che secondo le stime dell’Organizzazione Mondiale della sanità nel mondo si registrano 26 milioni di casi di avvelenamento da pesticidi all’anno con 258.000 decessi. Inoltre, studi scientifici dimostrano come l’esposizione cronica ai pesticidi determini un incremento significativo di malattie come cancro, diabete e patologie cronico-degenerative». La ricetta magica ovviamente non esiste, ma solo attraverso una corretta comunicazione e un modo diverso di agire da parte dei consumatori e dei mercati si potrà sostenere una produzione agricola di qualità. «Le soluzioni possibili sono sempre le solite -commenta l'analista-: la necessità di individuare interventi organici mirati a favorire i processi di aggregazione tra i produttori, che permettano una riduzione dei costi di produzione e un maggior potere contrattuale; il supporto delle istituzioni, soprattutto per quelle produzioni che siano in grado di rispettare ambiente, salute e lavoro; infine, i produttori dovranno adeguarsi alla necessità di quelle che sono le richieste crescenti del turismo, del poter vivere a contatto con i produttori di prodotti agricoli o di allevamento e di consumare sul luogo di produzione i prodotti stessi. Per la Toscana penso all’Alto Mugello e alla possibilità in sinergia con la Regione Toscana di attrarre turisti verso le eccellenze delle zone, dagli allevamenti delle carni alla produzione di latte, senza tralasciare i prodotti agricoli tipici di quella zona di montagna. La Regione Toscana -suggerisce Comucci-, superata questa fase di crisi sanitaria ma soprattutto economica, dovrà iniziare un massiccio piano di investimenti all’estero per la valorizzazione del territorio montano e dei suoi prodotti e favorire la creazione di negozi o spazi dedicati alla vendita dei prodotti agricoli direttamente nelle aziende agricole. Sarà necessario anche semplificare le normative per favorire la possibilità di consumare la carne direttamente nelle aziende dove gli animali vengono allevati, ovviamente nel rispetto di tutte le condizioni igienico sanitarie. Data la previsione di arrivo di tanti aiuti comunitari -conclude l'analista- sarà necessario organizzarsi per tempo, individuando quali filoni promuovere e soprattutto quale dovrà essere il ruolo della Regione Toscana, tra la grande distribuzione e gli agricoltori e allevatori, ai quali andrà garantito un compenso maggiore, a fronte di garanzie, tracciabilità, informazione e riconoscibilità dei prodotti stessi. Ma solo informando i consumatori sul “perché” dietro un prodotto di qualità vi siano innumerevoli vantaggi si potrà cambiare la spirale in cui è caduta attualmente l’agricoltura, portandoli a comprendere che un prezzo al ribasso può tradursi in un costo molto alto per l’intera comunità». Caterina Ceccuti