
Raffaello Gelli, figlio dell’ex capo della loggia massonica segreta P2
Arezzo, 3 febbraio 2022 - "Vivo con 700 euro di pensione, non mi posso permettere di pagare quelle cifre". Raffaello Gelli, figlio dell’ex venerabile capo della P2, in aula non si è mai presentato, per rispondere alle richieste della ex moglie Marta Sanarelli, che da anni aspetta l’assegno di mantenimento. La sua "verità" l’ha affidata all’avvocato: ma non è bastato a salvarlo dalla condanna. Otto mesi proprio per non aver mai versato gli alimenti. Prima negli anni della separazione, processo andato in prescrizione, e dal 2013 dopo il divorzio. Un assegno mensile tra gli 8.000 e i diecimila euro, calcolato sulle fortune di casa Gelli. Ma che il figlio ha sempre negato di possedere.
Nell’arco di otto anni si arriva a somme non versate vertiginose, poco sotto gli ottocentomila euro. Ieri la condanna a otto mesi in Tribunale, senza possibilità di sospensione, avendo nel suo passato altre condanne. Siamo al primo grado ed è chiaro che la storia continuerà in appello. Con il rischio di una nuova prescrizione? Secondo l’avvocato Giovanna Mazza di Roma no: perché quel reato, dice, si rinnova ogni mese, ad ogni assegno non versato. Con la continua possibilità di presentare nuove denunce.
La sentenza di divorzio risale al 2013: e rientra in un rapporto burrascoso, culminato nella denuncia di maltrattamenti, sempre presentata dalla moglie. Anche in quel caso aveva portato ad una condanna in primo grado, allora a tre anni: ma per poi vedere tutto evaporare dopo l’appello, sempre sullo scoglio prescrizione. Intanto proseguiva in parallelo la causa legata a quegli assegni mai partiti e mai arrivati. Una causa infinita.
Perché in questi casi tutto passa da una stima patrimoniale dell’accusato: e muoversi nel groviglio di casa Gelli è più difficile che avanzare nella giungla. Per questo era stato designato un consulente tecnico. Gelli ha sempre sostenuto, tramite avvocato, che la moglie fosse autonoma e addirittura cointestataria dei conti correnti comuni. Conti dei quali, è sempre stata la risposta, dei quali lei però non poteva usufruire. E soprattutto si è attestato sulla diga principale: non essere in grado di pagare quella cifra. Cifra che comunque non ha mai chiesto di rinegoziare, per adeguarla alle sue attuali condizioni economiche. Che sono in sostanza appese ad una pensione minima: un paradosso di fronte ai beni di famiglia.
Solo nella perquisizione della villa del padre, seguita alla sua fuga in Francia, furono ritrovati in giardino oltre due milioni di dollari in lingotti d’oro. Ma a suo nome non risultano beni sui quali la ex moglie avrebbe potuto rivalersi. Due scenari: uno quello di una famiglia ricca e potente e l’altro di una disgrazia economica assoluta. Davanti ai quali il giudice Filippo Ruggiero ha deciso per la condanna. Ora la "navicella" di una storia partita dieci anni fa galleggia verso l’appello. Tessera pur minore di un mosaico che da quasi 50 anni attraversa la storia italiana.