“Dopo la morte di Barbara Capovani non è cambiato niente. I medici restano sempre soli”

L’ultima aggressione a una dottoressa di Psichiatria al S.Chiara di Pisa riapre dolorosi ricordi. Il compagno della specialista uccisa da un paziente un anno fa: “Le istituzioni intervengano”

Pisa, 28 marzo 2024 – L’aggressione brutale, la morte orrenda, le fiaccolate commosse con migliaia di fuochi accesi. E poi ancora i convegni medici partecipati, la giustizia del tribunale con Gianluca Paul Seung unico imputato e i tagli del nastro in "onore" e "nel ricordo". Eppure, un anno dopo, stesso reparto e analoga paura: l’aggressione di una dottoressa nella Psichiatria dell’ospedale Santa Chiara di Pisa riapre ferita e dibattito. Una dottoressa ricorre al pronto soccorso con il volto graffiato e vasti lividi per i calci e i pugni subiti da una paziente.

Misura le parole, è un filo di voce, quasi un sussurro quello di Michele Bellandi, 20 anni di vita insieme a Barbara Capovani, la dottoressa che una mano assassina ha portato via al suo affetto e a quello dei suoi figli il 21 aprile scorso. "Ciò che è avvenuto in questi giorni al Santa Chiara – sottolinea – è la dimostrazione che sussiste ancora un pericolo per i sanitari che si trovano a confrontarsi ancora con situazioni molto pericolose. Vi è bisogno di supporto e risorse a tutti i livelli, una battaglia che Barbara ha sempre portato avanti con determinazione e coraggio". Chiedendo a gran voce un quadro normativo più chiaro e privo di falle. "Purtroppo – ribadisce ancora Bellandi – vi sono persone che non trovano collocazione in strutture adeguate per le loro condizioni e quindi vengono indirizzati in ospedale laddove sono difficilmente gestibili. Le istituzioni tutte devono dare supporto al personale sanitario e non lasciarlo solo".

Barbara Capovani fu uccisa in un agguato premeditato appena uscita dal proprio reparto; la dottoressa aggredita in questi giorni è stata pestata in corsia da una paziente ricoverata per un trattamento sanitario obbligatorio. Il medico è stato gettato a terra, graffiata al volto e poi picchiata (sono sette i giorni di prognosi). Il personale medico è intervenuto per aiutarla e all’arrivo dei carabinieri la situazione era già tornata – si fa per dire – alla normalità. "Quando ci sono questi episodi – argomenta Angelo Cerù, direttore del dipartimento di salute mentale dell’Asl Toscana nord ovest e collega della Capovani – quasi sempre i pazienti sono ben consapevoli di stare picchiando un operatore sanitario".

«I nostri pazienti – specifica ulteriormente Cerù – quelli con la ‘p’ maiuscola, perché negli Spdc ormai c’è una popolazione decisamente variegata, normalmente poi chiedono scusa perché si rendono conto di essere stati eccessivi nelle loro manifestazioni". "La signora in questione – conclude il direttore del dipartimento di salute mentale – è ancora ricoverata da noi e ha chiesto scusa per ciò che ha fatto. Ha reagito in modo improvviso e tutti i dispositivi di prevenzione che abbiamo messo in atto non permettono di eliminare questo comportamento e questi rischi. Ma tra i sedici posti della degenza spesso troviamo cocainomani che arrivano qui in seguito a provvedimenti giudiziari o altri soggetti critici e alterati per altre dipendenze: è chiaro che tutto questo rende più complessa la gestione del reparto".