Luana, si cercano conferme nel cellulare. Messaggi, video e audio passati al setaccio

Il telefono sequestrato il giorno della morte. Per ora nessuna traccia del vocale in cui la ragazza si sfoga delle condizioni di lavoro

Luana D’Orazio aveva solo ventidue anni: è morta il 3 maggio a Oste di Montemurlo

Luana D’Orazio aveva solo ventidue anni: è morta il 3 maggio a Oste di Montemurlo

Prato, 2 giugno 2021 - Il cellulare di Luana D’Orazio passato al setaccio alla ricerca di messaggi scritti o vocali, foto, video, che possano fornire indizi su quello che accadeva nell’Orditura srl di via Garigliano a Oste dove la ragazza ha trovato la morte. E’ uno degli accertamenti che la procura sta eseguendo dal giorno dell’incidente, il 3 maggio scorso, quando l’operaia, 22 anni e mamma di un bambino di 5, originaria di Agliana dove viveva con i genitori, è stata ingoiata dall’orditoio a cui stava lavorando. In questo mese di analisi e accertamenti sul telefono – sequestrato nella ditta il giorno dell’incidente –, però, non sarebbero emersi elementi utili alle indagini. Nel cellulare della ragazza non c’è traccia neppure di quel vocale diffuso dai consulenti della famiglia di Luana nei giorni scorsi. Vocale nel quale Luana si lamenta del macchinario che le è stato affidato. «Fa ca... – si sfoga la giovane nel messaggio inviato al fidanzato – E’ una macchina che si ferma di continuo perché è mezza tronca e ci mette più del doppio del tempo».

Nello stesso messaggio Whatsapp Luana se la prende con un non precisato «lui», che «è andato via alle 15 ed è tornato alle 18» con cui avrebbe litigato pochi giorni prima dell’incidente mortale. Secondo quanto emerge da fonti investigative, però, al momento questo vocale non è stato rintracciato nel cellulare della vittima. Il vocale sembrerebbe importante perché sarebbe la stessa ragazza a descrivere le modalità di lavoro in fabbrica ma non è stato depositato in procura dagli avvocati della parte civile che lo hanno a disposizione.

E’ possibile che Luana lo abbia cancellato insieme ad altri messaggi in cui faceva riferimento alle condizioni di lavoro all’interno dell’orditura dove aveva un contratto come apprendista da circa due anni. I tecnici dovrebbero essere comunque in grado di recuperarlo anche se è stato cancellato. Oppure Luana avrebbe potuto inviarlo con il cellulare di un’altra persona. E’ un particolare che non è stato reso noto. Intanto la procura ha iscritto nel registro degli indagati anche il marito della titolare, Daniele Faggi, in quanto considerato «amministratore di fatto» dell’azienda – intestata alla moglie Luana Coppini di cui lui risulta essere formalmente un dipendente – e «addetto alla manutenzione del macchinario» della vittima come si legge nell’avviso di garanzia. L’iscrizione è un «atto dovuto», spiegano dalla procura, per consentire a Faggi, insieme agli altri due indagati, la moglie Luana Coppini (entrambi difesi dagli avvocati Alberto Rocca e Barbara Mercuri) e il tecnico manutentore esterno all’azienda Mario Cusimano (difeso da Stefano Camerini), di partecipare agli esami irripetibili, come la perizia dei consulenti che non è ancora terminata. Il lavoro dei consulenti di procura, difesa e parte civile riprenderà venerdì.

I periti torneranno per la terza volta in fabbrica insieme ai tecnici dell’Asl che stanno seguendo le indagini. Diverso il percorso della famosa scatola nera, la scheda elettronica del macchinario che è stata estratta durante l’ultimo sopralluogo in azienda. La scheda è stata inviata in Germania direttamente alla casa costruttrice dove i tecnici dovranno decifrare i codici per sapere quello che è successo durante le ultime lavorazioni dell’orditoio, compresa quella mortale. Nel mirino della procura ci sono poi gli abiti che Luana indossava il giorno della tragedia. Non la tuta da lavoro, come sarebbe necessario per stare a quel macchinario, ma una normale tuta nera attraverso la quale è stata agganciata frontalmente dall’orditoio che l’ha trascinata dentro gli ingranaggi schiacciandole torace e polmoni, come emerso dall’autopsia. Luana aveva le scarpe da antinfortunistica ma perché non indossava la tuta giusta? Quella che deve restare aderente al corpo proprio per non rischiare di restare attaccata all’orditoio. E chi doveva vigilare su questo ennesimo elemento di sicurezza che non è stato rispettato il giorno della tragedia?