STEFANO BROGIONI
Cronaca

Il pallone che scoppia. Esplode la polemica per le nuove regole sul vincolo dei baby

Dal primo luglio gli under 16 saranno liberi di accasarsi dove vogliono. Ma per le società che lavorano con i giovani sarà un autentico tracollo. "Si scava la fossa ai vivai, non si potrà più avere un ritorno economico"

Tommaso Baldanzi (foto Tommaso Gasperini/Germogli)

Tommaso Baldanzi (foto Tommaso Gasperini/Germogli)

Firenze, 19 agosto 2023 - Primo luglio. Data cerchiata in rosso sui calendari delle società sportive, perché, con l’abolizione del vincolo sportivo per gli atleti, ha portato con sé una rivoluzione epocale. Anzi, per qualcuno letale. «Si scava la fossa ai vivai», tuona Matteo Melani, presidente della Sestese, società che negli ultimi anni ha spedito nel calcio professionistico una dozzina di ragazzi. La nuova norma non può che far felici i calciatori sotto i sedici anni e le loro famiglie, liberi alla fine di ogni stagione sportiva di accasarsi dove tira il mercato, e non dispiace ai professionisti, che hanno mani sempre più libere per riempire i loro settori giovanili a costo zero, facendo leva, sovente, sulle ambizioni dei genitori e sul fascino della società blasonata.

Ma è un drammatico boomerang per chi forma, chi investe e spende per la crescita e nella formazione di ogni calciatore, proprio nell’ottica di monetizzare in caso di passaggio della sua “creatura” a un club di categoria superiore. E incide anche sulla politica di molte squadre dilettantistiche, quella di crescere i ragazzi per la propria prima squadra, dche sia la serie D o a terza categoria. "Le società non potranno più fare programmazione per attività di qualità – aggiunge Melani -: investire in allenatori qualificati, strutture, pulmini, senza la prospettiva di un ritorno economico, chi potrà più permetterselo?".

Alcuni meccanismi di riconoscimento del lavoro delle società di base esistevano già (anche se ritenuti spesso insufficienti o inadeguati); ora, con la riforma, cambiano. Molto in peggio, a sentire le voci di chi sta sui campi. Il vecchio “premio di preparazione” è diventato “premio di formazione”. Ha l’obbligo di corrisponderlo chi sottopone il calciatore al primo tesseramento biennale alle cosiddette società formatrici. Ovvero quelle in cui il calciatore ha trascorso il suo passato sportivo tra i 10 e i 21 anni.

E’ sul meccanismo dei premi (che non sono per altro automatici, ma debbono ogni volta esser richiesti), che il mondo dilettantistico punta, visto il divario con i ricchi della serie A. Ma le richieste dei ’piccoli’ vanno spesso nel muro. Alle società formatrici non è stata ad esempio riconosciuta la possibilità di iniziare il calcolo per il premio (la formula prevede un valore base in euro, moltiplicato per un coefficiente parametrato alla categoria di chi contrattualizza e per il numero di anni del vincolo) già dagli 8 anni dell’atleta.

Tradotto, significa che se un baby calciatore a 10 anni – come accade ormai frequentemente – è già tesserato in un club professionistico, chi lo ha avviato in precedenza alla pratica non percepisce alcunchè. Perché esiste anche il “premio alla carriera”, che scatta quando un calciatore fa il suo esordio tra i professionisti e viene riconosciuto a tutte le società che hanno cresciuto il campioncino dai 12 anni in poi. Ma proprio per questo abbassamento dell’età dell’approdo nei professionisti, i premi alla carriera sono ormai una rarità. Un esempio? Baldanzi, fenomeno nostrano che ha mosso i primi passi nel Castelfiorentino, a quell’età era già nell’Empoli. E alla squadra del paese non resta altro che la soddisfazione di poter dire "è nato qui". Ma niente quattrini. Immesso e poi subito tolto anche il fondo di solidarietà: una quota del 3% (5% sui trasferimenti all’estero) da versare alle società che hanno formato.

La riforma va poi a regolare anche i rapporti di lavoro/collaborazione dentro le società. In un mondo che vive anche di volontariato, pure questo rischia di essere un uragano. "Da una parte ci vogliono aziende, dall’altra dilettanti allo sbaraglio", commenta Antonello Semplicioni, il presidente del Tau Calcio di Altopascio. Che riflette: "I parametri dei premi sono confusionari e ridicoli. In un contesto in cui un grosso marchio non ha agevolazioni a far da sponsor ai dilettanti, dove pensano che prendiamo i soldi per la nostra attività?"

Già, perché alla fine, si casca sempre lì: se certi introiti calano, le società non possono che andare a pescare dalle famiglie, aumentando le quote d’iscrizione. "Le famiglie con le loro quote rappresentano una delle voci più importanti nel bilancio delle società, soprattutto per le realtà più piccole - fa notare l’avvocao Marco Checcucci, esperto di diritto sportivo -. L’altra voce è rappresentata dagli introiti delle attività secondarie e strumentali (bar, punto ristoro) che però saranno sottoposti a dei limiti non ancora individuati dal Ministero del Lavoro, ma lo saranno a breve. Se i costi lievitano, ci saranno, in parte, delle ripercussioni sulle quote da pagare".

Anche a Casellina, dove l’attività è più sociale, la riforma viene definita penalizzante. "Sono diventato presidente dieci anni fa - dice il presidente Giovanni Bellosi, esperienza anche da consigliere comunale a Scandicci - è già allora si sapeva che il vincolo sarebbe andato a sparire. Ma anziché ripetere ‘il vincolo non si tocca’ avremmo dovuto lavorare su strumenti ugualmente tutelanti, parametri chiari, obbligatori, codificati. La logica di una riforma sarebbe quella che un ragazzo va dove vuole e la società viene indennizzata. Invece così si va verso l’ulteriore soffocamento della nostra attività".