LISA CIARDI
Cosa Fare

Una fetta di salame, simbolo di Auschwitz libera

Le sorelle Andra e Tatiana Bucci sopravvissute all’Olocausto. Padre Bernardo: "Un’occasione preziosa per cominciare qualcosa di nuovo"

Una fetta di salame, simbolo di Auschwitz libera

"Del 27 gennaio 1945, giorno della liberazione di Auschwitz, ricordo un’atmosfera diversa. Il campo non era silenzioso come al solito, ma pieno di persone. E ho l’immagine di un’auto, una jeep o qualcosa di simile, con un soldato russo seduto sul cofano. Aveva una piccola tavoletta di legno e un coltellino. Affettava il salame e lo dava a noi bambini. Ecco, per me, la libertà è quella fetta di salame". Lo ha detto Andra Bucci, intervenendo ieri insieme alla sorella Tatiana in un’emozionante incontro organizzato dalla Regione con gli studenti delle scuole toscane al Teatro della Compagnia di Firenze.

Le due sorelle di origini ebraiche (nate rispettivamente nel 1937 e nel 1939) sono due superstiti dell’Olocausto, impegnate da sempre a tramandare la memoria di quel dramma. "Ci siamo abituate subito alla vita del campo – ha detto Tatiana – perché i bambini sono così, si adattano per sopravvivere. Noi riuscivamo a giocare accanto a una baracca piena di cadaveri. La mamma veniva a trovarci la sera e noi in un certo modo la rifiutavamo, perché non era la mamma bella ed elegante di prima. Non aveva i capelli, era magra e malvestita. Lei insisteva perché ricordassimo i nostri nomi e le nostre origini: un aspetto che è stato fondamentale più tardi, per tornare a casa".

Il racconto ha toccato anche la vicenda di Sergio De Simone, cugino di Andra e Tatiana, uno dei venti bambini usati come cavie umane a Neuengamme (Amburgo) e poi uccisi per non lasciare traccia. "Lo convinsero a seguirli – hanno raccontato – promettendogli che avrebbe riabbracciato la madre. Noi eravamo state avvisate da una blockova, una delle guardie del campo, che ci aveva preso a benvolere e che ci aveva spiegato di non accettare quell’invito. Avevamo avvisato Sergio, ma lui non riuscì a resistere al desiderio di rivedere la mamma".

Con la guida di Luca Bravi dell’Università di Firenze e della linguista Vera Gheno, si è parlato poi delle persecuzioni e delle deportazioni di dissidenti politici, omosessuali, disabili, rom, sinti e internati militari. "È necessaria questa umiltà della memoria – ha detto Padre Bernardo Gianni, abate della basilica di San Miniato al Monte – Il nostro stare insieme, sperimentare trasversalità di amicizia nel segno di un lucido discernimento antifascista della nostra storia, può dare a tutti noi un’occasione preziosa per incominciare qualcosa di nuovo e diverso, con un orizzonte di pace, giustizia, libertà, reciprocità, e possibilmente, amicizia". "Il Giorno della Memoria è fondamentale – ha detto il presidente della Regione, Eugenio Giani – perché il pericolo è dietro l’angolo. Appare incredibile vedere i simboli del nazismo e del fascismo ancora trasmessi come un culto".

"Di fronte ai rigurgiti nazifascisti, alle braccia tese dei saluti romani, alle adunate, alle stelle di David vicino alle sinagoghe – ha dichiarato l’assessora Nardini – tutte e tutti noi dobbiamo sentire un dovere civile, quello di non dimenticare l’orrore della Shoah". "Oggi, ancor più che nel passato, le istituzioni hanno un grande responsabilità – ha commentato il presidente del Consiglio regionale, Antonio Mazzeo –. Sempre meno sono le donne e gli uomini che hanno vissuto quegli orrori e spetta a noi passare il testimone ai più giovani".