GLORIA PERUZZI
Cronaca

Gli anni drammatici della guerra. Mario Morandi e la crisi degli ideali: "Siamo prossimi a una catastrofe"

Nel suo diario "Dall’Albania alla Libreria" tra il 1939 e il 1944 descrive le esperienze professionali la crisi politica di idealista fascista e una vita che si snoda tra l’orgoglio e la disillusione del conflitto.

I manoscritti di Mario Morandi, uno dei finalisti del premio

I manoscritti di Mario Morandi, uno dei finalisti del premio

"Faccio degli sforzi per non lasciarmi travolgere dall’odio contro i tedeschi e perdere così ogni serenità di giudizio. Ma sono dei pazzi e degli imbecilli, quello che stanno facendo è letteralmente insensato. Come potremo reggere a questa marea di esecrazione che monta ovunque loro passano?". È, questo, uno degli interrogativi che Mario Morandi (nato a Roma nel 1908), annota nel suo diario dal titolo "Dall’Albania alla Libreria" in cui, tra il 1939 e il 1944, scrive le deludenti esperienze professionali, la crisi politica di idealista fascista, il rifiuto di aggregarsi alla Repubblica Sociale, gli anni drammatici di Roma città aperta. Una vita che si snoda tra l’orgoglio e la disillusione, sospesa tra i sogni imperiali dell’Albania del 1939 e la tragica realtà di una Roma occupata nel 1943. Come consigliere permanente dell’istruzione, Mario assiste all’euforia iniziale di un’Italia apparentemente invincibile, per vederla poi sgretolarsi sotto il peso delle sue stesse ambizioni. Gli anni di guerra trasformano la speranza in amarezza, portano insuccessi e recriminazioni: "Sono accaduti molti eventi: l’entrata in guerra il 10 giugno, la caduta della Francia cinque giorni dopo la nostra dichiarazione, e le speranze, svanite, di una conclusione in autunno.

La resistenza dell’Inghilterra continua e ora siamo in guerra con la Grecia, iniziata il 28 ottobre. (...). L’atmosfera è pesante, tra accuse reciproche. Le responsabilità sembrano essere troppo in alto perché possiamo rendercene conto...". Scrive Mario a Tirana, nel novembre del 1940 riprendendo in mano il diario dopo mesi in cui non aveva scritto niente. Alla prima parte, dedicata al tempo vissuto a Tirana, Mario dedica le pagine successive, a quello trascorso nella Roma del 1943-44, quando, senza lavoro, si trova costretto a osservare impotente la caduta del fascismo, la fuga del Re, e l’occupazione tedesca. In queste ultime pagine, Mario riporta la disgregazione di un mondo in cui aveva creduto: "La vita della città a poco a poco si arresta almeno nelle sue forme più visibili. (…). La radio annuncia un convegno di capi nazi per moltiplicare gli sforzi per la vittoria. Poi sono stati dal Führer il quale ha parlato sulla situazione generale. Traspare dal comunicato la crescente preoccupazione tedesca di esser prossimi a una catastrofe". È l’8 ottobre 1943 e Mario è preoccupato delle notizie che arrivano: "La radio fascista fa una propaganda balorda. Strepita perché tra Napoli e Salerno civili italiani, uomini e donne, lavorano sulle strade. Ma nulla dice della caccia all’uomo in atto per le strade di Roma e della deportazione in Germania di tante migliaia di giovani italiani". I rastrellamenti, le atrocità delle Fosse Ardeatine e il quotidiano orrore di una città sotto assedio, svelano a Mario la crudele realtà di un conflitto che divide e distrugge.

Nel suo diario scrive anche di episodi che gettano nuova luce sulle sofferenze inferte alla popolazione romana dalla ferocia dell’esercito occupante, ma anche dalle bombe sganciate da quelli liberatori. Quando, il 20 aprile 1944, decide di aprire una libreria, è come se cercasse rifugio in un futuro diverso. Spera in una nuova vita tra i libri, mentre il silenzio cade sui suoi antichi ideali proprio come un vecchio manoscritto polveroso, lasciato sugli scaffali della storia.