Bar e ristoranti, la diga degli incassi: salvano il 30% con asporto e consegna a domicilio

Mearini (Fipe): il caffè era un rito, così tanti in fuga. Vestri (ristoratori): ci riprendiamo un po’ solo il sabato sera. Ma tanti locali restano aperti

Firenze, partono le vendite da asporto (New Press Photo)

Firenze, partono le vendite da asporto (New Press Photo)

Arezzo, 25 novembre 2020 - La vita agra, alla Bianciardi. E’ quella di bar e ristoranti che di questi tempi non sanno ancora se e quando riapriranno, mentre si arrabattano per salvare qualcosa del loro fatturato, in modo da non rimanere nudi e crudi in balia dei ristori che hanno cominciato ad arrivare ma che certo non coprono per intero (e nemmeno per la gran parte) il danno economico della chiusura.

Già, 1700 locali pubblici della provincia di Arezzo sono fermi al palo da quando si sono accesi prima il semaforo arancione e poi quello rosso. A tutti, i 500 ristoranti (con trattorie e pizzerie annesse) e i 1200 bar, sono rimasti solo l’asporto, il take away per dirlo in inglese, e la consegna a domicilio, altresì detto delivery, sempre per gli anglomani.

Nessuno si aspettava che coprissero per intero gli incassi andati in fumo, ma alla fin fine quanto riescono a mettere in cassaforte dei loro guadagni i padroni dei tavolini? Non più di un quarto, al massimo un terzo di prima. E per prima non si intende quando non sapevamo ancora cosa fosse il Covid, tempo beato, ma il periodo di agosto-settembre in cui c’era stata, grazie alla movida estiva ora sotto accusa come concausa della seconda ondata, una certa ripresa.

Il primo a fare i conti è Stefano Mearini, titolare di uno dei più prestigiosi bar-enoteca aretini, il Charleston di via della Chimera, ma soprattutto presidente della federazione pubblici esercizi dell’Ascom. «Il caffè o il cappuccino con pasta - dice - erano prima di tutto un fatto di costume, un rito da consumare con gli amici e i colleghi, o anche da soli ma durante la pausa-lavoro, magari dando un’occhiata ai giornali che ogni locale mette a disposizione, e commentando le notizie in compagnia.

Così resta il consumo puro e senza quell’abitudine in tanti preferiscono stare lontani. Tanto la macchinetta del caffè a casa ormai ce l’hanno quasi tutti. Se proprio bisogna ridursi a bere il caffè in un bicchierino di carta, tanto vale farlo tra le mura domestiche». Diagnosi probabilmente centrata, ma quanto significa in cifre? «Direi- replica Mearini - di essere intorno al 30 per cento di prima. E credo, per aver sentito i colleghi, che sia un dato buono più o meno per tutti».

In effetti, a sentire i baristi in giro per una città che non è comunque quella fantasma del primo lockdown di marzo e aprile, arriva la conferma del baratro in cui i locali si sono trovati: un terzo salvato (non è poco, perchè a primavera era zero), due terzi persi. Eppure bar e caffè restano aperti per l’asporto in maniera quasi massiccia: siamo grossomodo all’80-90 per cento degli esercizi che non hanno abbassato le serrande e che si arrangiano fra un bicchierino di polistirolo, una paletta e una bustina di zucchero.

Quasi sparito, invece, l’happy hour del pomeriggio, con il rito dell’aperitivo. Un po’ più limitata la percentuale di ristoranti e affini che ci provano col take away e il delivery. Per Federico Vestri, presidente di categoria, sempre dell’Ascom, che ad Arezzo è l’organizzazione di gran lunga prevalente, siamo intorno al 60 per cento. Lui parla di 60-70 locali aperti per l’asporto solo nel capoluogo, o che si sono organizzati in proprio o che hanno aderito a una delle piattaforme digitali di consegna, come Deliveroo, i cui riders sono in piazza Guido Monaco una delle poche forme di semi-assembramento rimaste in centro.

Gli incassi anche in questo caso si aggirano (stima di Vestri ma anche di altri ristoratori) intorno al 25 per cento di quando c’era l’apertura totale, a pranzo e a cena. E’ una media, spiega il presidente, fra il 10-15 per cento dei feriali, soprattutto i giorni morti di lunedì e martedì, e il 35-40 per cento cui si arriva il sabato sera, grazie a chi comunque non rinuncia alla cena portata da fuori. In ogni caso, chiarisce Vestri, anche quella maggiorazione del sabato corrisponde a un quarto degli incassi precedenti. «Ma che succede il 4 dicembre - gli scappa di chiedere - ci daranno un po’ di libertà?». Ahinoi, è ancora un mistero.