Banche, gigante Intesa-Ubi: quali le conseguenze aretine

Sono con Mps i due istituti più presenti grazie a sportelli ex Etruria e Crf. Centinaia di dipendenti. Faltoni (Fabi): stiamo in guardia, i rischi di eventuale sovrapposizione

Bpel ammaina le insegne

Bpel ammaina le insegne

Arezzo, 19 febbraio 2020 - E’ come quando un battito d’ali di farfalla in Cina rischia di scatenare un terremoto in Calofornia. E qui siamo di fronte a ben altro che un battito d’ali: l’offerta pubblica di scambio che Intesa San Paolo ha lanciato su Ubi Banca, sotto la cui egida aveva finalmente trovato pace la struttura terremota della fu Banca Etruria, è probabilmente la più grossa operazione di risiko bancario che sia mai stata tentata in Italia.

Tanto grossa, appunto, che le conseguenze si estendono, potenzialmente per ora, fino ad Arezzo, non tanto remota periferia dell’impero di entrambi i gruppi creditizi, il primo e il quarto d’Italia. Naturalmente, in questa primissima fase, nella quale è difficile capire cosa succederà e se l’offerta avrà successo, con quali effetti sulle due banche, è tutto molto aleatorio, fatto di ipotesi e di scenari possibili più che di realtà.

E tuttavia, qualsiasi cosa suceda, è destinato a incidere sul futuro di un migliaio di dipendenti locali degli istituti coinvolti, di cui più di seicento in Ubi (circa la metà nel centro direzionale di via Calamandrei, cuore pulsante adesso dell’impero di Victor Massiah come lo fu della Bpel d’antan). Metteteci le famiglie ed è facile capire come l’operazione lasci tutt’altro che indifferente questa città e questa provincia.

Il primo ad uscire allo scoperto è stato ieri mattina, poche ore dopo l’ufficializzazione dell’offerta, in piena notte, lo storico capo del sindacato Fabi di Etruria, Fabio Faltoni: lui parla di sorpresa (ed i primi a rimanere sorpresi sono stati il board della banca bergamasco-bresciana con tutti i dipendenti, colti all’indomani di un piano industriale che prevedeva 2 mila esuberi in tutta Italia e il raddoppio degli utili) e di sindacato che sta in guardia.

Anche perchè, spiega ancora, se Ubi, erede di Etruria, è massicciamente e storicamente presente ad Arezzo, lo stesso vale anche per Intesa, che qui si fa forte del ruolo di Cassa di Risparmio Firenze, da anni inglobata all’interno del gruppo. Facile dire, insomma, che Ubi e Intesa siano insieme a Mps le banche con più forte radicamente sul territorio, una rete commerciale capillare, diffusa quasi in ogni comune.

Simbolico, nel capoluogo, che le sedi storiche di Ubi e Intesa-Cassa di Risparmio si guardino l’un l’altra ai due lati del Corso, lungo l’asse via Roma-via Crispi. Che effetto avrebbe su tale concentrazione di sportelli un eventuale inglobamento di Ubi da parte di Intesa? Sono ipotizzabili sinergie che andrebbero a ricadere sull’occupazione? Nel presentare la sua offerta, il gigante milanese del Ceo Carlo Messina parla di 5 mila uscite ma con l’assunzione di 2500 giovani.

Poi è evidentemente troppo presto per dire come tali cifre andranno a ripartirsi sui singoli territori. Anche perchè c’è una terza incognita, quella di Bper, già aspirante all’acquisto di Etruria ben presto ritiratasi, che ha raggiunto un accordo con Intesa per assorbire 500 delle quasi 5 mila filiali che un eventuale supergigante andrebbe ad accumulare.

Più il settore assicurativo, con l’aretina Bap, che sarebbe ceduto. Impressionanti anche le cifre della banca che andrebbe a nascere: 4,9 miliardi per inglobare Ubi, 1,1 trilioni (cioè migliaia di miliardi di euro) di raccolta, 460 miliardi di impieghi, profitti da capogiro. Già le dimensioni della ex Etruria erano poca cosa rispetto a Ubi, inevitabile che sarebbero ancor più diluite rispetto a un colosso di tal fatta.

Con tutto ciò che ne consegue in termini di potere decisionale. Ma a questo Arezzo era già abituata fin da quando aveva perso l’autonomia della sua banca territoriale, devastata dal crac che l’ha progressivamente divorata fra il 2013 e il 2015, quando nasce la Nuova Etruria, poi assorbita da Etruria. Pare certo, per adesso, che il piano industriale annunciato da Massiah appena lunedì sia congelato, in attesa di capire cosa succede.

Dalla politica e dalla classe dirigente aretina nessuna reazione ufficiale: tutti aspettano di capire. Fa eccezione Francesco Macrì, presidente di Estra e calibro da novanta di Fratelli d’Italia, che parla di «gigantismo che mal si addice al nostro territorio». Dopo il lavoro per riaprire «un serio dialogo con Ubi», rischiamo, dice, il «punto a capo».