
Riccardo Goretti
Arezzo 17 febbraio 2022 - Passa con disinvoltura dall’Odeon di Parigi alla Casa del popolo di Foiano, dai grandi palcoscenici internazionali ai piccoli spazi in cui si guardano in faccia gli spettatori, là dove si è nati e cresciuti. <Il mio primo teatro è stato il Dovizi di Bibbiena> ricorda Riccardo Goretti, casentinese puro che in quel territorio ha cominciato la sua missione di attore poi regista e autore. Quelle radici le ha ben piantate nel cuore e a quella umanità popolare attinge a piene mani per i suoi testi, i libri, i monologhi, le sceneggiature, i personaggi. Sta per debuttare ad aprile a Prato con il nuovo spettacolo <Gli ultimi giorni di Pompeo> che si ispira fedelmente al fumetto di Andrea Pazienza e che ha già portato sui palchi aretini nelle prime prove di studio con Giorgio Rossi di Sosta Palmizi e Massimo Bonechi: <Uno spettacolo perfetto per i piccoli spazi dove anche il pubblico sembra ritrovarsi dentro la stanza di Pompeo. E poi nei piccoli teatri posso dire la mia in libertà>. Il 26 febbraio su Rai 5 andrà in onda lo spettacolo <La tragedia è finita, Platonov> del 2020, bloccato dal Covid insieme ad altri testi. Scritture rimaste ferme: <Ma è tanto materiale e ancora buono e ho riscritto un collage>.
E così venerdì alle 21 al teatro Virginian di via de’ Redi ad Arezzo per la stagione de La Filostoccola va in scena l’esilarante <Riccardo legge Goretti>.
<E’ un monologo tipo stand up nato in questi due anni di covid, tanto materiale scritto, pensato, proposto, rimasto indietro. Ho messo insieme testi pronti e cose nuove presentando tutto in maniera diversa. E per fortuna si ride in una sorta di catarsi. Racconto l’umanità con le sue debolezze, le sue fragilità, è come se dicessi allo spettatore di non preoccuparsi se si stente sbagliato e fa cose sbagliare, anche le più grette e abbiette, perché anch’io sono come lui>.
Ma poi ci sarà un ritorno ad Arezzo sempre al Virginian per una residenza artistica.
<E’ un progetto sul testo di un autore sudamericano, Santiago Sanguineti, ‘Breve apologia del caos’. A marzo cominciamo a lavorare per lo spettacolo che poi debutta a giugno. Autore uruguaiano di grande talento, ha cose nuove da dire, estremamente contemporaneo, che ci ha fatto sapere di essere molto felice di venire rappresentato in Italia. Un testo che parla di lotta, come sempre accade con i sudamericani, politicamente naive come se fossimo rimasti agli anni Settanta, spaccati fra destra e sinistra, fascisti e comunisti. Io con Daniele Marmi, Eleonora Angioletti e Giorgio Garfagna con la regia di Simone Luglio saremo quattro rivoluzionari sgangherati alle prese con un piano diabolico per sovvertire l’ordine capitalista>.
Hai lavorato con Colapesce in tempi non sospetti prima che avesse successo a Sanremo.
<Con lui ho fatto ‘Stanno tutti male’, è un cantante straordinario e mi spiace che sia conosciuto solo per Sanremo, i suoi dischi sono di una bellezza disarmante e sono un suo fan. L’ho incontrato per caso, ci siamo messi a parlare delle sue canzoni e di come mi avessero fatto venire in mente un’idea per uno spettacolo. Mi ha risposto: facciamolo. Ho chiamato anche Stefano Cenci e siamo partiti in tour con un allestimento importante che ci ha portati nei grandi teatri di Roma e Milano>.
E sul film di Netflix <Il divin codino> sei l’amico che fa scoprire il buddismo a Baggio.
<Ero suo tifoso da ragazzo. Sono stato felicissimo di conoscerlo, è una persona straordinaria e quando è arrivato sul set e ha assistito alla scena si è messo a piangere. Fare un film biografico su persone viventi ti permette di conoscerle bene. Fra l’altro io andavo a Firenze a comprare dischi nel negozio di Maurizio Boldrini, ci conoscevamo già. Un personaggio supermateriale e superspirituale, nato in provincia, quarantenne, aria da rocker, toscano e che sa suonare la batteria, il ruolo perfetto per me>.