Andrea, sopravvissuto al virus: "Non tocca solo agli anziani"

Il racconto di un 56enne di Signa: "Ho creduto più volte di morire. Quando ti manca l'aria è terribile"

Andrea Fissi

Andrea Fissi

 

Firenze, 20 novembre 2020 - «A Torregalli mi hanno regalato una seconda vita e sento il dovere di dire a tutti che il Covid-19 non va sottovaluto. Ho voluto raccontare la mia storia proprio per dare un messaggio a chi pensa che non esista o che colpisca solo anziani e malati». Andrea Fissi, agente di commercio di 56 anni di Signa, senza patologie pregresse, è tornato a casa dopo una lunga lotta contro il Covid-19. E ha pubblicato su Facebook le foto del suo ricovero per dire grazie a medici e infermieri, ricevendo centinaia di messaggi di affetto.

Partiamo dall’inizio, come si è contagiato?

«A lavoro anche se non so esattamente come. Intorno al 12 ottobre sono stato a Grosseto: eravamo 4 colleghi; dopo una settimana in 3 siamo risultati positivi. Siamo sempre stati attenti, ma evidentemente non è bastato».

Si è subito preoccupato?

«Sinceramente no. Ho accusato disturbi intestinali e febbre a 37-38 ma non ho dato peso alla cosa. Sono sempre stato sano, faccio rally a livello agonistico, non fumo e non bevo... L’unico mio fattore di rischio era essere sovrappeso. Ma insomma credevo di poter stare tranquillo».

Quando ha capito che stava peggiorando?

«Verso il 22-23 ottobre. Ero sempre più debole e avevo il fiato corto. Mia moglie voleva che chiamassi il 118 e il mio medico le ha dato ragione. Quando sono arrivati i volontari della Pubblica assistenza di Signa, che ancora ringrazio, ho capito che la situazione era seria. Mi hanno portato a Torregalli e da lì…».

È iniziata la fase difficile…

«Difficilissima. Non mi vergogno a dire che ho pensato più volte di morire. Quando ti manca l’aria è terribile. Un giorno mi hanno cambiato macchinario per la respirazione assistita e mi sono sentito soffocare. Ho creduto che fosse la fine. Mi sono strappato la maschera e ho iniziato a urlare. Solo grazie a medici e infermieri mi sono calmato. Poi purtroppo il quadro si è aggravato e dalla sub-intensiva Obi mi hanno portato in terapia intensiva».

Quando ha intuito di avercela fatta?

«Dopo 4 giorni in intensiva mi hanno detto ‘Sei in cima alla collina: ora puoi iniziare a scendere’. Lì ho capito che avrei rivisto mia moglie e mio figlio. Prima di quel momento è stata dura: più volte mi avevano preparato all’ipotesi di essere intubato. Le maschere e i tubicini per l’ossigeno non sono facili da tenere. Mi volevano mettere anche il sondino nasogastrico, ma ho chiesto di farne a meno. Mangiavo ‘in apnea’ alimenti liquidi. Non volevo perdere anche quell’ultimo pezzo di autonomia… ero già bloccato a letto 24 ore su 24! Dopo 14 giorni di ospedale e altri 10 a casa, oggi ho ancora la bombola d’ossigeno, ma sono con la mia famiglia».

Che situazione ha trovato in ospedale?

«Persone eccezionali. Il turno minimo è di 7 ore: medici, infermieri e Oss le passano chiusi nelle tute, senza andare nemmeno in bagno. Ho lottato con tutte le mie forze, ma se ho vinto è perché con me hanno combattuto il professor Gianfranco Giannasi e i suoi collaboratori. Ho conosciuto anche tanti malati: cinquantenni e trentenni in condizioni serie come me e tre anziani che non ce l’hanno fatta. Due erano miei compagni di camera: è stata dura sapere che erano morti».

Cosa le ha lasciato questa esperienza?

«È stato come nascere una seconda volta. Avevo messo in conto di non avere un futuro davanti: ora che ce l’ho gli do un altro valore».