Il Festival Puccini secondo De Plano: "Sperimentando abbiamo emozionato"

Primo bilancio del direttore artistico sulle novità di questa edizione, prima del gran finale

Daniele De Plano, direttore artistico del Festival Puccini

Daniele De Plano, direttore artistico del Festival Puccini

Viareggio, 21 agosto 2015 - Riprende fiato. Ora che la stagione sta per volgere al termine il direttore artistico del Festival Puccini, Daniele De Plano, può tornare a respirare. Con lo sguardo ancora dritto verso il gran finale – questo, e poi il prossimo fine settimana con gli ultimi tre appuntamenti con l’opera di Puccini – può però fermarsi appena un attimo e tracciare un primo bilancio sulle novità di questa edizione. Difficile, per i tagli di bilancio e la necessità di accorciare lo slancio creativo. Quelle novità che, in qualche modo, hanno smosso un dibattito.  Qual è stata la più grande sfida? «Credo Tosca. L’opera con cui abbiamo scelto di aprire (e chiudere domenica 30 agosto) il Festival cercando di fondere completamente l’arte con la lirica; cercando di unire due mondi e due concezioni visive. Agitando gli umori e i concetti e affidando tutto questo ad un cast eccezionale, tra cui spicca il nome di Daniela Dessì che ci ha regalato un’interpretazione unica». Da questa idea è nata la scelta di affidare la scenografia a Mimmo Paladino. «Un maestro, il più grande rappresentante della Transavanguardia, ma soprattutto uno sperimentatore. Che ha accettato di mettere la sua firma su questo allestimento fortemente innovativo». Qualche purista ha storto il naso... «Un pubblico tradizionalista può aver percepito questo slancio forse un po’ audace, la critica però ha apprezzato. Le sfide e le sperimentazioni nell’arte vivono di questo, stimolare un dibattito emozionale e culturale è senza dubbio un risultato a cui l’arte deve aspirare».  Un progetto, questa Tosca, che però in origine aveva un seme diverso.  «La regia classica di Vivien Hewitt classica, avrebbe acuito fortemente il contrasto tra due mondi: quello classico appunto, lei è una filologa, una studiosa dei libretti pucciniani; con le suggestioni nuove di Paladino». Poi la Fondazione, a pochi giorni dalla prima, ha deciso di far subentrare alla Hewitt Giorgio Ferrari. «Un maestro che stimo profondamente. Con lui la lettura dell’opera è cambiata ancora; si è trasformata. Il maestro Ferrari ha scelto di declinare la strada tracciata dalla scenografia di Paladino con una regia asciutta, essenziale e lineare».  E’ stato anche l’anno dei maxi schermi, installati sul proscenio. «Non è stata una scelta artistica, ma della Fondazione. L’idea di fondo che ha mosso questa decisione è stata quella di concedere al pubblico l’opportunità di indagare nei dettagli dell’opera; di permettere di cogliere anche le espressioni degli artisti, i gesti... e dare anche spazio agli sponsor che sostengono la manifestazione».  Da due anni poi si è scelto di inserire in cartellone dei titoli anche per il fine settimana di Ferragosto. Qual è stata la risposta del pubblico? «Ritenevo incredibile che Viareggio, nei giorni clou dell’estate, non offrisse il suo spettacolo culturale principe. Da un valutazione puramente visiva credo che rispetto all’anno scorso le presenze in teatro siano aumentate. Questa è sicuramente una sfida, che valeva la pena tentare e sui cui ritengo si debba continuare ad investire».  Fino ad oggi cosa l’ha emozionata di più? «Forse vedere il teatro pieno per festeggiare i vent’anni nel ruolo di Turandot di Giovana Casolla. Aveva 50 anni quando debuttò in questa ruolo impervio; e che in tutta la bellezza dei suoi settantanni riesce a interpretare con freschezza. Una donna eccezionale che ha donato la sua esperienze ai ragazzi dell’Accademia. E credo che l’altra grande emozione la vivrò stasera, (ieri sera per chi legge ndr), quando gli studenti si esibiranno nel Trittico, che è già tutto esaurito. Questo è il Festival; non soltanto la rappresentazione delle opere ma anche un percorso di studio e approfondimento».