Cooperante ucciso, lo strazio del padre: "Non abbiamo neanche un corpo da piangere"

Il dolore di Vito Lo Porto, padre di Giovanni, il cooperante ucciso in un raid Usa in Pakistan. "L'ultima volta che l'ho visto è stato qui a Pistoia, due o tre mesi prima che venisse rapito" / ITALIANO UCCISO IN RAID USA, CITTA' IN LUTTO: IL PADRE LAVORA A PISTOIA

Vito Lo Porto, il padre del cooperante ucciso (foto Quartieri)

Vito Lo Porto, il padre del cooperante ucciso (foto Quartieri)

Pistoia, 24 aprile 2015 - «E’ tutto quello che ho di mio figlio...». Vito Lo Porto mostra una foto di quando Giovanni era un bambino, un ritaglio di giornale che parla del suo rapimento e una lettera. «E’ l’unica che ho ricevuto da lui, me l’ha spedita il 12 gennaio di cinque anni fa mi dice di stare tranquillo, di non preoccuparmi». Vito Lo Porto è provatissimo, respira piano, e non vuole piangere. Ha quasi settant’anni e vive da quindici anni in un condominio che appartiene a un vecchio convento tuttora di proprietà dei padri cappuccini e gestito attraverso la Misericordia. Un piccolo, modesto appartamento tenuto con decoro e cura dove la sera, quando ha terminato il suo servizio come volontario «capoguardia di diritto» della Misericordia di Pistoia, si siede al tavolino e si dedica al suo passatempo preferito: i puzzle.

Prima di sapere che suo figlio, rapito in Pakistan tre anni fa, era morto tre mesi fa durante l’attacco di un drone americano, stava lavorando a un paesaggio alpino. I pezzi ora sono tutti sparpagliati sul tavolino della piccola cucina. «L’ultima volta che l’ho visto – ci ha raccontato il padre di Giovanni – è stato circa quattro anni fa, qui, a Pistoia, in piazza del Duomo, due o tre mesi prima che venisse rapito. Quando lo vidi a Pistoia rimasi senza parole e lui mi disse che stava venendo da me, per farmi una sorpresa. Ma la sua casa era il Pakistan, amava tutto di quel paese. «Io sono volontario della Misericordia da vent’anni, hanno fatto molto per me. E dalla Misericordia ho ricevuto stamani, la prima telefonata, anche se non vi era ancora certezza. Quella è arrivata con la telefonata della Farnesina».

Vito sa che il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, si è scusato per questa tragedia, assumendosene la piena responsabilità. «Obama si è scusato – commenta con amarezza il padre di Giovanni – ma lui è morto. Non riesco a comprendere perchè ci siano voluti quattro mesi prima di dare la notizia. Perchè lo sapete che era lui? – si domanda Vito – come fate ad essere sicuri che sia lui? Magari era stato spostato, magari c’era stato uno scambio di prigionieri». Il dolore è amplificato dalla consapevolezza che non c’è un corpo da riportare a casa. «Domani (oggi) la Farnesina – ci ha offerto il volo e un pernottamento a Palermo, per me e l’altro mio figlio Daniele, il più piccolo, che vive anche lui a Pistoia – ...ma se non c’è niente di lui, io posso piangere anche qui...ma abbiamo diritto a qualcosa di lui, si trovano i corpi sotto i terremoti....».

Giovanni ha altri tre figli che vivono a Palermo, insieme alla madre Giuseppa, dalla quale è separato da molti anni. «Ci siamo separati, di fatto, nel ’95, ma ci sentiamo sempre. Io mi trasferii subito a Pistoia per cercare lavoro e ho sempre lavorato e ho sempre pensato ai miei figli. Daniele, il più piccolo, lo portai con me, pe sottrarlo alle grinfie di Palermo, oggi lavora, ha una famiglia e io sono contento per lui». Vito ha vissuto per anni, in Valdinievole, a Ponte Buggianese, e poi si è trasferito a Pistoia dove ha lavorato per otto anni a Sant’Agostino, per la Paganelli e Frosini e poi, sempre a Sant’Agostino, per la Martini Dumas, l’agenzia che distribuiva libri e giornali, prima che si trasferisse. «Ora mi dedico soprattutto al volontariato, in Misericordia, faccio tutto quello di cui c’è bisogno. Sono come una famiglia per me». Mostra con orgoglio il diploma di «capoguardia di diritto»: «Non si diventa capoguardia in un attimo» conclude con l’ultimo sospiro mentre il cellulare squilla in continuazione e lui si appresta a preparare la valigia, destinazione Palermo, l’altra sua casa, l’altra sua vita.