La «post-verità» e le bufale che diventano «realtà certa»

«Post-truth», il neologismo eletto parola dell’anno 2016. Ma la psichiatra Liliana Dell’Osso mette in guardia

Liliana Dell’Osso, direttore dell’Unità Operativa di Psichiatria I dell’Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana

Liliana Dell’Osso, direttore dell’Unità Operativa di Psichiatria I dell’Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana

PISA, 20 novembre 2016 - Grande risonanza ha ricevuto, in questi giorni, la notizia che gli esperti dell’ Oxford Dictionary abbiano eletto il neologismo post-truth (tradotto in italiano con ‘post-verità’) come parola dell’anno 2016. Ma a mettere in guardia su un fenomeno sempre più diffuso è la professoressa Liliana Dell’Osso, direttore dell’Unità Operativa di Psichiatria I dell’Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana. Ecco l’intervento integrale della studiosa:

«Post-truth: ad uno sguardo superficiale, potrebbe sembrare una categoria innocua, quasi da critica letteraria: un conio dell’ormai datato post-moderno. Al contrario, si tratta di una categoria storico- politica che sancisce un cambiamento delle democrazie occidentali durante il primo decennio del ventunesimo secolo. Indica, infatti, un approccio alla comunicazione pubblica in cui il ruolo dei fatti non è contemplato: ciò che conta sono le emozioni. I fatti si possono citare e smentire, quasi siano opinioni «non informate».

«L’approccio è quello dello show, ed - in un certo senso - si tratta di un reality show. Gli esperti hanno ritenuto che la post-truth abbia segnato profondamente la scena politica internazionale di quest’anno, come dimostra l’imponente aumento (2.000%) del suo impiego rispetto al 2015. In primo piano ci sono senza dubbio la Brexit e l’elezione a presidente degli Stati Uniti di Donald Trump. Si tratta di due scenari politici in cui sondaggi e oggettività hanno fallito nella previsione dell’esito finale».

«La leva dell’opinione pubblica si è spostata dai giornali e dal controllo delle fonti, ai social network, visti come la nuova sorgente a cui attingere - sentita illusoriamente come più vicina e in qualche modo dominata ‘dal basso’ - in un crescendo di sfiducia per le informazioni trasmesse dai canali ‘ufficiali’. E’ stato anche l’anno dei grandi attacchi terroristici, in cui lo stato di preoccupazione e confusione delle popolazioni è stato alimentato e strumentalizzato, tanto dai media più tradizionali quanto dai social. Informazioni che puntano a convincere facendo presa sulla sfera emotiva piuttosto che su quella cognitiva, puntando su un’offerta di rassicurazione da una parte, e sull’agitare uno spauracchio dall’altro. Elementi a cui tutti siamo sensibili: di fronte a questo tipo di strategie, che utilizzano stimoli ansiogeni, si riduce il controllo cognitivo dell’informazione mentre aumenta la vulnerabilità ad appigliarsi, come risorsa emotiva, alla rassicurazione, immediatamente offerta proprio dalla stessa fonte aleatoria che ha generato lo stato di allarme».

«Sarebbe ingenuo pensare che la post-verità sia un fenomeno attuale. Il nome fu coniato circa 25 anni fa dallo scrittore Steve Tesich, ma la manipolazione ai fini politici della verità è vecchia quanto il mondo: già Platone la ammetteva per i governanti ma è stata sdoganata definitivamente da Macchiavelli quasi 5 secoli fa. Il fatto che abbia raggiunto le dimensioni attuali dipende dalla possibilità di accedere liberamente agli strumenti di informazione di massa. Questo vale per tutto ma acquista un peso particolare quando sono in ballo argomenti ‘sensibili’ come quelli politici, economici e sanitari che toccano tutti più da vicino. E trovano un terreno molto fertile nel generale disagio e scontento derivante dalle attuali difficili condizioni socioeconomiche».

«Non a caso, le 'bufale' che trovano maggior credito sono quelle che vedono come protagonista l’establishment a torto o a ragione considerato responsabile. Gli esempi più clamorosi sono, naturalmente, la già citata Brexit ed la vittoria di Trump in occasione delle quali la disinformazione, la violenza verbale, il becerume, hanno raggiunto i massimi livelli e, dati i contesti, la massima evidenza. E d’altra parte, gli strumenti di comunicazione di cui oggi disponiamo si prestano all’aggressione diretta, priva di rispetto per l’interlocutore, ormai non più avversario ma nemico. E anche noi non siamo da meno in questa chiassosa, sguaiata, post-verità di cui abbiamo quotidiane manifestazioni da esponenti della classe politica nei comizi, nei dibattiti, nei blog, nei social network ecc. In realtà, i fatti non hanno più voce, ormai contano solo le post-verità che vellicano l’emotività, la rabbia, lo scontento, la sfiducia della gente. Ormai la verità aristotelica, se non è morta, non gode certamente di buona salute: uscita dai dibattiti accademici, è entrata nel web e ne è risultata stritolata, ridotta a menzogne, bufale, false notizie che, con termine attuale, sono diventate e diventano virali (e si dice che Casaleggio, fondatore dei 5 Stelle, affermasse, mi auguro con un paradosso, che «Ciò che è virale è vero») non solo, ma incominciano ad impensierire governi, democratici e non, che meditano, minacciano, di mettere la rete sotto controllo».

«Purtroppo, dai tempi di Macchiavelli, che sosteneva «Sono tanto semplici gli uomini e tanto obbediscano alle necessità presenti, che colui che inganna troverà sempre chi si lascerà ingannare»: dai vaccini, alle multinazionali del farmaco che ostacolano coloro che scoprono «risolutive» terapie anticancro (gira sul web un video in cui si afferma che due ricercatori avrebbero isolato una molecola, derivata dal malto, che «indurrebbe il tumore a suicidarsi» ma che, naturalmente, avrebbero contro l’ostracismo della classe medica e delle aziende farmaceutiche: come nel caso ‘Stamina’!), alla politica, al biologico, insomma a tutto ciò che, falsando più o meno deliberatamente la verità, si adatta acriticamente ai propri preconcetti e alle proprie paure. E la rete, che avrebbe dovuto portare a tutti l’informazione, veicola una quantità enorme di falsità che alimenta la post-verità».