Play off, oggi i quarti. Petrachi tifoso speciale: ''Forza Pisa, torna dove meriti''

Il direttore sportivo del Torino è stato l'ultimo ''diesse'' a conquistare la cadetteria in nerazzurro: ''Fu bellissimo ma se ci ripenso mi torna l'amaro in bocca per l'anno dopo: con Cerci e Kutuzov saremmo andati in A. E se non avessero deciso di smantellare quella squadra ...''.

Il diesse Gianluca Petrachi

Il diesse Gianluca Petrachi

Pisa, lunedi 16 maggio 2016  - «Se ho pensato di portare Varela al Torino? È vero che l'ho fatto seguire a lungo: è un giocatore che con la Lega Pro proprio non c'entra niente, anche se fisicamente è ancora un po' fragile». Parola di Gianluca Petrachi, direttore sportivo del Torino e artefice del «miracolo granata» preso all'ultimo posto in serie B e portato fino agli ottavi di «Europa League», ma anche ultimo «diesse» a portare il Pisa in cadetteria.

Dunque è vero che voleva l'uruguaiano?

«Confermo che ci abbiamo pensato. Poi ho preferito tirarmi indietro ma solo per ragioni tattiche: riuscivamo a collocarlo male nel nostro modulo. Ma le qualità del giocatore non si discutono: anzi, sono convinto che in categorie superiori, in cui la tecnica conta più dell'agonismo, potrà fare anche meglio che in Lega Pro».

Un discorso simile si può applicare anche alla piazza?

«Se si riferisce al fatto che anche la tifoseria nerazzurra non ha nulla a che fare con lo terza serie, sono totalmente d'accordo. Club come Frosinone e Carpi hanno realizzato delle vere e proprie imprese sportive, ma mi piange il cuore se penso che loro sono in A e una realtà come Pisa in Lega Pro: nelle due stagioni in nerazzurro, fra l'altro, ho imparato tantissimo …».

Che cosa?

«Consideri che ero alla prima esperienza da direttore sportivo. All'ombra della Torre, quindi, c'è stato il mio apprendistato nel calcio vero: perché, per seguito e pressioni della piazza, ribadisco che Pisa è una piazza da almeno una categoria superiore. Pure per questo mi è rimasta nel cuore ...».

Anche se, in realtà, non è quasi mai più tornato.

«E' vero. Ma per un motivo semplice: il modo in cui, dopo aver sfiorato la promozione in A, dovetti andarmene mi ha lasciato dentro tanta di quell'amarezza che, per diversi anni, ogni volta che pensavo al Pisa mi si riapriva una ferita professionale».

Era convinto davvero di portare i nerazzurri in massima serie?

«Non voglio passare per più presuntuoso di quello che sono, però le dico due cose: se non si fossero fatti male Kutuzov e Cerci, noi in serie A ci saremmo già andati in quella stagione. Inoltre avevo già ottenuto la riconferma di tutti i giocatori più importanti: non solo il tridente ma anche Genevier, D'Anna, Zavagno e via dicendo. Con due o tre ritocchi, potevamo sicuramente provarci. Comunque, ormai è storia».

E' storia anche la promozione in B del 2007. Ci ha creduto davvero fin dall'inizio?

«Certezze non ne avevo, però ci pensavo. In primo luogo perché sono ambizioso e convinto di aver costruito una squadra competitiva. Poi in panchina avevamo Braglia: in Lega Pro sbaglia poche volte. Il campo, poi, ci dette ragione e fu bellissimo».