Barista prima licenziata poi riassunta: la "guerra degli scontrini"

Il giudice del lavoro di Massa scopre una storia di scontrini e ordini da eseguire

Finanzieri al lavoro per incrociare i dati ottenuti con i controlli sul territorio

Finanzieri al lavoro per incrociare i dati ottenuti con i controlli sul territorio

Massa, primo luglio 2017 - Era stata licenziata e accusata di non avere fatto ben 22 scontrini. Dopo una lunga battaglia legale, chi l’ha mandata via dovrà riassumerla e pagarle anche 10 mesi di arretrati. E’ una bella storia quella che ha visto protagonista in positivo Daniela, che dall’8 luglio 1995 fino al 26 febbraio 2016 ha lavorato come barista e addetta alla tavola calda di un punto di ristorazione in un centro commerciale a Massa.

Poi è stata licenziata. Ma lei sapeva di essere finita in una sorta di ingranaggio di cui non era il motore e ha fatto causa. E il giudice del lavoro Augusto Lama le ha dato ragione. Ma vediamo i fatti. A febbraio del 2016 il locale dove la donna lavora finisce nel mirino delle Fiamme Gialle. Gli agenti si presentano in borghese e chiedono un caffè. Poi si siedono. E vedono che per ben 22 volte la donna incassa il corrispettivo di un caffè (e poco altro) senza fare lo scontrino.

In pratica non ha registrato le operazioni sul registratore di cassa e non ha versato nella cassa il corrispettivo in denaro. Quando la società ha saputo l’accaduto, ha avviato una sorta di indagine interna, ha contestato i fatti alla donna e poi l’ha licenziata per «giusta causa». Ma lei ha impugnato il licenziamento e ha fatto ricorso «per insussistenza della giusta causa».

Davanti al giudice è così emerso che la mancata emissione degli scontrini fiscali avveniva dietro precise direttive dei suoi superiori. Questi avrebbero imposto alle addette al bar di non battere un certo numero di vendite relative a consumazioni minime, tipo caffè o brioche. I soldi incassati dovevano finire in una cassettina diversa dalla cassa ufficiale. Quando quei soldi raggiungevano una certa somma, venivano riversati nella cassa ufficiale ma solo dopo aver fatto scontrini fittizzi corrispondenti a prodotti più costosi.

Perché un giochetto di questo tipo? A quanto sembra l’azienda puntava più sui menù che sui caffè e garantiva ai titolari dei singoli esercizi premi di risultato e altre gratificazioni. Particolare curioso. Il nuovo dirigente del punto ristorazione ha aperto un piccolo armadio e ha scoperto all’interno i gadget che bisogna dare ai consumatori quando prendono un menù completo.

Se i clienti erano fittizzi i gadget finivano in quel nascondiglio. Forse per non buttarli via. Lunedì scorso il giudice Augusto Lama ha accolto parzialmente il ricorso. Ha dichiarato il licenziamento disciplinare illegittimo «non ricorrendo gli estremi della giusta causa» e ha sostituto il licenziamento con una sospensione temporanea dal lavoro (5 giorni). E ha condannato l’azienda a reintegrare subito la donna nel suo posto di lavoro con il vecchio inquadramento contrattuale. L’ha anche condannata a risarcire la barista versandole un’indennità pari a 10 mensilità.