Il borgo con un solo abitante. Eugenio: "Io, l’orto, gli animali e i ricordi"

Viaggio a Bottignana, piccolo borgo della Lunigiana dove vive un... angelo custode

Eugenio Ambrosini, 70 anni, nel borgo di cui è il solo abitante

Eugenio Ambrosini, 70 anni, nel borgo di cui è il solo abitante

Massa, 27marzo 2017 - Si chiama Eugenio Ambrosini, un 70enne energico e con un fisico di tutto rispetto, è l’unico abitante rimasto a Bottignana, un borgo abbarbicato sulle balze appenniniche, nel comune di Fivizzano, a quasi mille metri d’altezza, dove è facile toccare il cielo con un dito e dove si respira un’atmosfera da... primo giorno nel Paradiso terrestre.

L’impressione, entrando in questa borgata di alta montagna, è caratterizzata dalla sorpresa di trovare un borgo in ordine e sufficientemente pulito: non si notano i classici segni dell’abbandono e dell’incuria tipici dei paesi fantasma. Il segreto sta nel fatto che a Bottignana, nel cuore del Parco Nazionale dell’Appennino, si aggira un nume tutelare: Eugenio, autentico angelo custode della montagna. E’ lui che tiene puliti i pubblici sentieri attorno il villaggio, altrimenti resi impercorribili da selve di rovi, che devia nei canali di scolo le piogge torrenziali, che riattacca pietre e macigni dai muri dove sono caduti e che tiene pulita la fontana del paese dove l’acqua purissima di una sorgente di montagna scorre da sempre. Ma come è possibile vivere da soli in questo luogo così distante dalle comodità e dalla gente.

Lei, Eugenio, non ha mai paura?

«Sono nato qui ma ho vissuto e lavorato a Milano per 20 anni, poi sono rientrato “alla base”, ho trovato una nuova occupazione fino al raggiungimento della pensione. Ora vedo nella mia casa il faro di luce, la mia sicurezza soprattutto d’inverno quando nevica per giorni e la neve raggiunge altezze inverosimili. Per il resto lavoro con soddisfazione i terreni che erano della mia famiglia: semino fave, cipolle, faccio l’orto, seguo il ciclo delle stagioni. Poi vado a caccia, con il mio cane “Kociss” e fino a poco tempo fa avevo anche Titta, la mia asina purtroppo deceduta e che rimpiazzerò presto. No, non ho paura. Sono credente ma non è questo il motivo: sono in pace con me stesso e la natura e conosco quest’ultima. M’imbatto sovente nelle tracce del lupo, lo... sento. Sulla mia testa volano poiane e a volte aquile reali, ma io trovo tutto questo naturale e questi animali se non sono direttamente minacciati si tengono a prudente distanza dall’uomo. Sì, a volte penso realmente di vivere “nel paese di Heidi”, ma non rifuggo le altre realtà: ho un fuoristrada, vado spesso in città a far compere, leggo volentieri il giornale, ho amicizie, guardo la televisione. Poi, per il resto, la mia vita è qui, dove sono le mie radici, il mio mondo».

Eugenio ha il dono dei cantastorie di una volta. Parla ed è come un fiume in piena. «Voi non ci crederete – dice – ma nei primi decenni del secolo scorso quassù era fiorente l’allevamento del baco da seta: i nostri terreni infatti erano costellati di piante di gelso delle cui foglie si nutrivano questi utilissimi animaletti. E non vi era casa in cui non esistesse un telaio utilizzato dalle nostre donne per tessere questo pregiato tessuto che, allo stato grossolano, caricato su carri trainati da buoi, a dorso d’asino e di mulo, prendeva la via del fondovalle fino a giungere a Lucca e Prato. A quel tempo c’era una colonna interminabile di animali da soma e cariaggi che scendevano sino alla carrozzabile con questo ricercato materiale: a Bottignana veramente prendeva inizio l’autentica... via della seta dell’Appennino. Ora ci sono cinghiali, lupi e cervi a farla da padrone».

«Quando ero bambino – narra ancora Eugenio – la fontana rappresentava il centro del paese, il punto di aggregazione dove si discuteva e si conoscevano le notizie della comunità, buone e cattive. Ogni famiglia aveva mucche, maiali, pecore e in paese c’era pure la “monta taurina’’ pubblica. In pieno inverno, quando arrivava la “baruffa bottignanese”, la tempesta di neve che durava più giorni e che creava invalicabili mura di neve, i paesani, non sapendo dove buttarla, scavavano sotto dei tunnel che collegavano una casa all’altra. E noi ci passavamo sotto con naturalezza, facendo visita agli amici, soprattutto nei giorni in cui, Attilio Vegnuti, il norcino dell’epoca, macellava il maiale nelle case e tutto il vicinato faceva gran festa. Una festa come quando c’era la battitura delle castagne e la trebbiatura del grano. Erano momenti in cui i paesani “si prestavano le giornate”, mostrando quanto fosse importante la solidarietà fra la gente. Altri tempi, ma è stato bello viverli».