Maxi-inchiesta sull'urbanistica, Chiari: "Voglio indietro sei milioni di euro"

"Volpe nel deserto", richiesta da capogiro per l'ex assessore assolto dal maxi processo / L'intervista all'architetto Valentini / Non c'è stata nessuna corruzione: tutti assolti / La reazione dell'ex assessore Marco Chiari / Il commento di Remo Santini

L'ex assessore Chiari

L'ex assessore Chiari

Lucca, 27 febbraio 2015 - Attesa. E’ lo stesso e unico comun denominatore che unisce al momento da un lato la Procura e dall’altro i sette assolti mercoledì in tribunale dal maxi processo sulla presunta corruzione. Processo durato cinque anni. Attesa dicevamo. Perché da una parte c’è la Procura che attende appunto di conoscere le motivazioni della sentenza emessa dal gip Silvia Mugnaini per capire poi il da farsi. Visto che questa è la sentenza di primo grado, vuole valutare se eventualmente ricorrere, rispettivamente, in appello contro cinque degli ormai ex imputati, e in Cassazione per altri due. Ma il rischio, a quanto pare di capire, è di andare per le lunghe rischiando la prescrizione e dunque un nulla di fatto. L’altra attesa invece è quella di chi per cinque anni si è trovato coinvolto nelle accuse del maxi processo - tra ex politici, dirigenti amministrativi e professionisti - : parliamo cioè di Marco Chiari, Mauro Favilla, Maurizio Tani, Giovanni Valentini, Andrea Ferro, Luca Antonio Ruggi, Sauro Doroni: tutti assolti in uno dei processi più clamorosi degli ultimi decenni. Almeno uno di loro, l’ex superassessore del Comune nella giunta Favilla, Marco Chiari, è pronto a mettere mano alla calcolatrice per chiedere eventuali danni per quello tsunami morale e non solo, che lo ha travolto in pieno cinque anni fa. E la sua richiesta danni, almeno stando ad una primissima stima, è da capogiro: è pronto cioè a chiedere allo Stato ben 6 milioni di euro. Una richiesta che riguarda sicuramente tanti aspetti. In primis il fatto della carcerazione, visto che l’ex superassessore rimase al San Giorgio per due settimane. Poi «pensi ai danni morali - aggiunge lui - , a quelli materiali. Mi stanno vendendo la casa all’asta visto che sopra quella casa avevo acceso un mutuo. Un mutuo che, a causa dei conti bloccati, non potevo pagare. Non posso nemmeno avere la pensione, perché non ho potuto pagare gli ultimi tre anni. Poi pensiamo anche ai mancati introiti per quella che era la mia professione, i clienti che hanno revocato gli incarichi che mi avevano dato. D’altra parte io ero un professionista nel pieno dell’esercizio della mia professione che fatturava 250mila euro l’anno. Io invece ho dovuto mandare a casa sei persone, l’ufficio è stato praticamente distrutto. Per tutto questo credo che, sulla base di una primissima stima indicativa, si possa parlare di una richiesta danni che si aggira intorno ai 5-6 milioni di euro». «D’altronde basta fare due calcoli: già la casa aveva un valore di 600mila euro, mentre per quattro anni non ho potuto comunque guadagnare quello che annualmente era il mio fatturato medio, circa 250mila euro, come ho già detto. Dunque 250mila per quattro anni fa un totale di un milione di euro. Più la pensione non percepita, i clienti andati via, i mancati guadagni futuri, due settimane di carcere, i danni morali, la casa venduta. Ho già dato incarico a un commercialista di verificare tutto questo e di fare una stima precisa». «A mio avviso - conclude Chiari - si è trattato di un processo politico senza prove. Dell’inchiesta Volpe nel Deserto è rimasto solo lo scorpione».