Omicidio Pierini, ora la madre accusa il figlio

Maria Grazia Guidoni contrattacca: "Non ero in casa, quando sono tornata ho scoperto tutto"

Maria Grazia Guidoni il giorno dell’arresto a Monterotondo Marittimo (Foto Aprili)

Maria Grazia Guidoni il giorno dell’arresto a Monterotondo Marittimo (Foto Aprili)

Grosseto, 13 febbraio 2016 - Ci ha pensato su tre mesi, poi ha deciso di rilanciare. Pesantemente. Maria Grazia Guidoni, 45 anni, in carcere con l’accusa di avere ucciso la madre Giuseppina Pierini a luglio del 2012, ha deciso di vuotare il "suo" sacco e accusare il figlio Gino, 22 anni.

«L’assassino è mio figlio» avrebbe detto Maria Grazia al pubblico ministero di Piacenza, Roberto Fontana. Non solo. La donna che è stata arrestata il 13 gennaio scorso a Monterotondo Marittimo, nei giorni scorsi, è stata interrogata dal pm, decidendo di non trincerarsi più dietro il silenzio che aveva contraddistinto i due precedenti incontri con gli investigatori. Ha, senza mezzi termini, accusato il figlio Gino, che all’epoca dei fatti non aveva compiuto 19 anni. Ha raccontato che quel giorno lei era fuori con il compagno e quando è rientrata a casa ha scoperto che il figlio aveva ucciso la madre Giuseppina. A quel punto, evidentemente, cuore di mamma, non se l’è sentita di denunciarlo e l’ha aiutato a nascondere il cadavere, trasferendolo in Maremma, vicino al casolare in località Marsiliana.

In sostanza Maria Grazia, dopo avere negato strenuamente quanto raccontato dal figlio, ha deciso di accusarsi del reato, per quanto orribile, meno grave: l’occultamento del cadavere della madre. E lo avrebbe fatto per amore materno. E’ la sua versione. Che allo stato può valere quanto quella del figlio Gino. Resta un piccolissimo particolare da sottolineare: è stato quel ragazzo di 22 anni, pochi mesi dopo essere tornato in Maremma, a prendere il coraggio a due mani e presentarsi ai carabinieri per raccontare il tremendo delitto che si era consumato a Pontenure, in provincia di Piacenza, nell’estate del 2012, di cui peraltro si è autoaccusato.

A portare i militari dell’Arma in quel luogo dove è stato trovato il cadavere della nonna. E’ stato lui a raccontare come la madre avrebbe ucciso la nonna. Orrendamente. Prima cerando di avvelenarla, poi mettendole un sacco di plastica in testa per soffocarla. Il tutto al termine di un gioco perverso che era la «Festa del condannato». Uno scenario terribile, che ora Maria Grazia vorrebbe relegare alla spudorata fantasia del figlio Gino. Perché, quindi ha accusato la madre? Per farle un dispetto? Per vendetta, perché non andavano d’accordo? Una vicenda intricatissima. Sconcertante. Raccontanta da un giovane di 22 anni che da tre si porta dietro il peso – secondo quanto raccontato – di avere visto la madre uccidere la nonna malata. Di avere percorso quattrocento chilometri con il cadavere in auto e di averlo visto lanciare dal terrazzo del casolare di Marsiliana.

Un «peso sullo stomaco» come lo ha definito lui quando si è presentato ai carabinieri di Follonica, che doveva essere tolto. E così ha raccontato quelle ore, e quegli anni come se si trattasse di fatti non vissuti in prima persona, ma appartenenti ad altri. Per tre mesi – di cui l’ultimo trascorso nel carcere di Novate in provincia di Piacenza – la madre ha respinto le accuse e non ha voluto raccontare niente di quella madre di cui lei aveva denunciato la scomparsa. Fino a pochi giorni fa, quando ha deciso di passare al contrattacco.

Cristina Rufini