Strage della famiglia Tronnolone. Il dolore, la depressione e la paura del futuro. "Ho ammazzato tutti, ora la faccio finita"

Le quattro salme della famiglia Tronnollone si trovano nell'obitorio dell'ospedale San Carlo di Potenza. Previste per lunedì le autopsie: la data dei funerali sarà decisa solo in seguito LE FOTO / I DUE FIGLI: CHIARA E LUCA

Il luogo dove è avvenuto l'omicidio-suicidio. Nelle foto piccole: Chiara e Vito, i figli uccisi

Il luogo dove è avvenuto l'omicidio-suicidio. Nelle foto piccole: Chiara e Vito, i figli uccisi

Lastra a Signa, 10 agosto 2014 - CHIARA, 27 anni, fidanzata, era rimasta per alcuni giorni da sola nella villetta a schiera di famiglia, in un’area verde poco fuori Malmantile, località ‘Quattro strade’. Trattenuta a casa da motivi di lavoro, avrebbe raggiunto poi la sua famiglia. Poteva salvarsi, Chiara. Invece il giorno dopo essere arrivata a San Fele, nel Potentino, è stata travolta anche lei dall’esplosione di follia di suo padre Vito, 65 anni, carrozziere in pensione.

L’uomo aveva descritto la strage in diretta inviando messaggi sms («Ho ammazzato tutti, ora mi ammazzo») a una delle due sorelle: Lucia, l’altra è Maria, la più anziana, abitano alla Lastra, dove Giuseppe e Marilena, figlie di Maria, e nipoti di Vito, hanno un negozio di parrucchiere, vicino alla ludoteca. «La depressione si stava facendo strada nella sua testa, ogni giorno di più, fino a sconfinare nella follia. Vito, uomo mite, era un padre amorevole e affettuoso, vi raccomando di evidenziarlo — racconta Valter Anichini, vicino di via del Gelsomino — ma si vedeva che era un uomo infelice. Da qui a ritenerlo capace di fare una cosa del genere però ne passa. Purtroppo il dolore che si rinnova di giorno in giorno diventa un’oppressione». Dolore, oppressione, senso di inadeguatezza.

Paura del futuro: tutti i giorni che Dio mette in terra. Il timore — anche per qualche problema di salute — di non poter più provvedere alla famiglia: la moglie Maria Stella Puntillo, 57, casalinga, la figlia occupata in modo saltuario, in un albergo, poi centralinista al Pignone e l’altro figlio, Luca, 32 anni, affetto da autismo. Li vedevano spesso al parco, insieme. Ogni mattina, durante la settimana, Luca era preso in custodia dai volontari di un’associazione di assistenza e trasportato in un centro diurno a Firenze. Si legge a proposito di questa problematica nella relazione intitolata ‘Progetto autismo-Montedomini diurno e residenziale per adulti’ che «occorre diffondere la consapevolezza che l’autismo è un problema che riguarda l’intero arco della vita... la situazione degli adulti affetti da autismo è fortemente condizionata dalla grave carenza di servizi progettualità e di programmazione per il futuro che produce troppo spesso un carico esorbitante per le famiglie col rischio di perdita di autonomie e abilità faticosamente raggiunte, di abusi di interventi farmacologici per sopperire alla mancanza di idonei interventi psicoeducativi o di adeguata organizzazione dei contesti e degli spazi vitali, di istituzionalizzazioni fortemente segreganti in quanto puramente custodialistiche e restrittive. Vi è quindi la esigenza di una presa in carico che si muova per tutta la vita delle persone con autismo dall’infanzia all’età adulta e anziana». Una situazione che sarebbe durata per sempre, ha fatto da detonatore nella mente già duramente provata di Vito, affettuoso con il suo Luca, rimasto «con il cuore, i sorrisi e gli slanci affettivi dei bambini» come lo racconta un’altra vicina: «Ho due figli con problemi di disabilità. Ma le assistenti sociali di Lastra a Signa fanno un lavoro eccezionale.

E il Comune ha avviato un progetto per favorire l’inclusività, attraverso lo sport, di ragazzi con disabilità. Mi dispiace tanto, mi dispiace soprattutto non essere andata con questa famiglia oltre il buongiorno e buonasera. Quell’uomo, Vito, lo vedevo spesso fuori in terrazza. Era un suo momento di evasione o forse era come se in qualche modo volesse chiedere un aiuto. A me adesso dispiace non aver colto per tempo quel segnale, di non aver fatto di più». Del resto Vito nonostante tutto non si lamentava mai. Racconta una delle amiche di Chiara che Vito «teneva dentro tutto il suo dolore, forse troppo e non ce l’ha fatta piu». Piange disperata Salvatrice Ferrara, che vive proprio dirimpetto rispetto alla casa della famiglia sterminata: «Noooo, Luca nooooo. Appena mi vedeva mi chiamava e mi abbracciava. Erano buoni vicini, era una buona famiglia, ma avere un figlio e non poterci sperare...». La notte alcuni vicini sentivano Luca: si alzava, gridava o dava colpi sul letto. I genitori erano stremati, la sorella sempre affettuosa con quel fratello sfortunato, possibile, involontaria concausadella devastazione di una famiglia. 

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