Rossella Conte
Cronaca

Ecco la Chinatown dell'illegalità: cibo, materassi e tanto lavoro nero

Dentro i capannoni con carabinieri e ispettori del lavoro / VIAGGIO NEL CAPANNONE-VIDEO

Blitz degli ispettori del lavoro

Blitz degli ispettori del lavoro

Firenze, 9 maggio 2015 - Dietro la porta blindata, un altro mondo. Materassi, carne essiccata e biancheria stesa sui cavolfiori, provviste di acqua e riso in fila indiana in uno spazio-uso commerciale trasformato in una camera, decine di paia di scarpe e centinaia di rocche di filato ammassate sotto le macchine da cucire. Una sorta di matrioska che più esplori e più ti ci perdi. Con gli ispettori della Direzione territoriale del lavoro e i carabinieri del «Nil» abbiamo fatto irruzione nella Chinatown fiorentina, nella zona dell’Osmannoro. L’ingresso non si rivela facile. Una sentinella monitora 24 ore su 24 gli accessi, punta l’esterno e segnala chi si avvicina. Prima di noi suona il postino ma la ‘vedetta’ non apre, fa cenno di lasciare il pacco sull’uscio e andare. A noi va meglio: l’interprete che ci accompagna parla perfettamente il cinese tanto da confondersi.

La porta si spalanca. In una manciata di secondi però capiscono che si tratta di un controllo: almeno in cinque riescono a scappare da una uscita nascosta sul retro. In strada corrono e farfugliano qualcosa, impossibile decifrare. Davanti ai nostri occhi, invece, ecco i semilavorati che vanno a rifornire i pronto moda cinesi con tanto di etichetta made in Italy, pelle e gomitoli incastonati l’uno sull’altro ma anche mele nei sacchetti di plastica proprio a fianco a un materasso e vaschette di riso e verdure nel congelatore, nascosto alle spalle di quella che sembra una sala pranzo. Nel secondo capannone ci troviamo di fronte a una fitta rete di corridoi che collega i vari spazi, una specie di labirinto che sbuca su un orto per la ‘produzione’ della piccola comunità. Scatoloni, brandine da campo, la zuppa ancora calda in una scodella proprio a fianco al letto e diversi lavandini attaccati al muro: una donna appena ci vede nasconde una pentola. Dopo la tragedia di Prato, in cui persero la vita sette operai in un rogo, ancora poco è cambiato.

Gli ‘imprenditori’ asiatici promisero più attenzione e trasparenza ma a quanto pare le aziende cinesi senza lavoratori a nero, mense e né dormitori è davvero difficile trovarle. La sensazione che abbiamo è che fermare l’illegalità è quasi come svuotare il mare con un secchiello. Raggirare la burocrazia italiana non è difficile: molto spesso si chiude e poi si riapre sotto un altro nome. I numeri sono spaventosi: nel 2014 nel ‘fiorentino’ su 366 ditte controllate sono state chiuse 122 e sono stati trovati 1.122 lavoratori irregolari di cui 456 a nero e 29 clandestini. Il 2015 va anche peggio: solo nei primi quattro mesi, su 100 aziende, hanno abbassato la saracinesca 64 e sono stati pizzicati 331 operai irregolari di cui 32 clandestini. Chi lavora, nella maggior parte dei casi, dorme dentro cubicoli di cartongesso, spesso ricavati sotto il tetto, senza nessun requisito di sicurezza.

I boss, invece, hanno un ufficio, uso appartamento. Saliamo al primo piano soppalcato e proviamo a suonare: ci apre una signora che fa giusto in tempo a mettersi la vestaglia, racconta di «essere una ‘governante’, la mamma di uno dei capi, che si occupa della cucina della sua ditta». Strano visto che durante i blitz «i titolari risultano essere sempre in Cina». La situazione è ancora poco chiara: gli operai sembrano attori di un film con infinite repliche. Solo dopo un paio d’ore, a fianco degli ispettori del lavoro e dei carabinieri, il quadro inizia a delinearsi: nelle due ‘confezioni’ ci sono dieci ditte tra aziende tessili e import-export di pronto moda. Quattro attività sono state sospese perché pizzicate con sei lavoratori a nero e gli altri quindici inadempienti dal punto di vista contributivo: 80mila euro non versati solo nei primi quattro mesi del 2015, al momento 30mila euro di sanzione. «Perché?». Alla nostra domanda una operaia alza le spalle. Storie di disperazione dietro quel muro del silenzio.

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