"Abbiamo ali per volare". Allevi, musica dell’anima

Tappa al teatro Verdi di Firenze per il trionfale Love Tour

Giovanni Allevi

Giovanni Allevi

Firenze, 19 aprile 2015 - "Aspetta: riordino i pensieri. Per cui, perdonami se è quel che ti dirò è più viscerale delle semplici risposte. Chiamare ‘Love’ questo mio lavoro è stata una scelta molto più profonda di quanto si possa immaginare. Anche perché all’orignine di tutto questo c’è una discesa negli inferi. Perché ho sentito da dentro che l’anima per arrivare a manifestare la luminosità, ha bisogno di confrontarsi con i propri demoni, con i draghi". Giovanni Allevi e il suo attesissimo concerto, "Solo piano ‘Love’ tour": è un appuntamento imperdibile per ascoltare da vicino questo giovane, ottimo, talentuoso e mai banale musicista. Sarà in concerto lunedì 20 aprile al Teatro Verdi di Firenze (ore 20,45 – biglietti dai 20 ai 5 euro; info: 055.667566). Torna Allevi, a quattro anni – impossibile da non ricordarlo – dal disco di platino ‘Alien’ e dopo l’esperienza sinfonica dell’album ‘Sunrise’ contenente il ‘Concerto per violino e orchestra in Fa minore’.

Maestro, cosa rappresenta ‘Love’?

Di base è un’ affermazione d’amore nei confronti dell’esistenza. Io lo vedo come un percorso appassionato ed intimista attraverso tredici tracce per raccontare l’amore nelle sue molte forme e indago con la musica tra ispirazioni classiche e contemporanee. Sono tornato a guardare in faccia le mie esperienze passate e con questo disco chiamo in causa non solo i volti delle vite passate, ma le vite precedenti.

La sua musica può essere un mezzo per contemplare anche una certa ascesi, cioè una purificazione dell’anima?

Io questo non lo so del tutto: ma sono convinto che qualcosa mi parli dalle vite precedenti. Quindi ti dico che ogni volta dopo un concerto mi sollevo dal pianoforte e sono stremato. Quindi questo disco non racconta soltanto l’amore nel senso di rose e fiori. E non è neppure rassicurante del tutto. Perchè durante il concerto accade qualcosa quasi di soprannaturale. E’ un concerto col passaggio continuo dall’una all’altra dimensione.

C’è un brano che sente in modo particolare?

Penso a in un brano particolare ‘Asian eyes’, in cui racconto di una disperazione amorosa nello sguardo gelido di una giapponese. È un’immagine che mi ossessiona. Forse in una vita passata ho fatto soffrire quella donna. Quando lo eseguo cado quasi in trance e il pubblico se ne accorge. Anzi, diventa quasi una dimensione collettiva.

E poi c’è l’evocativo ‘Albatros’.

Sai perché? Ho visto quanto nella vita siamo impacciati e imbarazzati. Noi abbiamo ali da gigante nascoste dietro la schiena ma non sappiamo di averle. Ho capito che la forma d’amore più difficile è proprio accettare la nostra vulnerabilità e riconoscerci come Albatros: siamo forse imperfetti. Ma destinati a volare altissimo.

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