"Amo i gialli alla vecchia maniera. Sfido il lettore a trovare l'assassino"

Esordio di successo per Gigi Paoli con "Il rumore della pioggia"

La copertina de "Il rumore della pioggia" di Gigi Paoli

La copertina de "Il rumore della pioggia" di Gigi Paoli

Empoli, 20 ottobre 2016 - Ammira i grandi giallisti americani, Connelly e Winslow su tutti, perché ama il noir «alla vecchia maniera, dove la sfida intellettuale è con il lettore, il primo che deve scoprire chi è l’assassino», ma ha una vena umoristica mordace e insinuante nel dipingere i suoi magistrati, carabinieri e giornalisti che solo un toscano verace può usare. L’esordio letterario di Gigi Paoli, da otto mesi a capo della redazione di Empoli della ‘Nazione’ ma per quindici anni cronista di giudiziaria a Firenze, è di quelli al fulmicotone: il suo romanzo Il rumore della pioggia (Giunti editore) è uscito in libreria il 5 ottobre ed è già in ristampa. Racconta un delitto, come tutti i gialli, e un giornalista padre single che prova a destreggiarsi nelle relazioni con i colleghi, i magistrati, le donne, le baby sitter, le crisi adolescenziali... la vita.

Gigi, come è nato questo libro?

«Nelle pause pranzo alla Nazione. Ho provato a mettere insieme quanto imparato in 15 anni di cronaca giudiziaria e in 25 da giornalista».

La molla che ti ha spinto a farlo?

«Una sfida con me stesso. È tutta la vita che leggo gialli e dopo 30 anni volevo vedere se ero capace di scriverli. Via via che scrivevo, mandavo i capitoli a cinque lettori di riferimento, loro mi dicevano che ‘funzionava’ e io continuavo a scrivere».

La domanda è inevitabile, chi sono questi lettori? 

«Mia sorella, un magistrato, la mia compagna che fa l’avvocato, un poliziotto e un’amica di mia sorella che è in giuria in un premio letterario».

Donne e uomini?

«Tutte donne. Considero le donne lettrici più attente degli uomini».

Leggendo ‘Il rumore della pioggia’ non si immagina una grande simpatia per il genere femminile.

«Il protagonista del libro ha avuto tanti problemi con le donne e quando lo incontriamo ha qualche difficoltà, un po’ per colpa loro e un po’ per colpa sua».

Il personaggio di Olga, unica adulta di rilevanza, non si vede mai in faccia e nemmeno parla. Al massimo si esprime con un sms. Non è molto. Cambierà?

«Perché no?».

Questo vuol dire che avremo altre storie con Marchi?

«Sì. Ma non voglio dire di più. L’obiettivo della casa editrice è creare una serie e quindi è anche il mio».

Scrittore e giornalista: un mestiere con due facce o due mestieri diversi?

«Due mestieri diversi, l’unica cosa che hanno in comune si presume sia la conoscenza di come usare il congiuntivo. E la curiosità».

La curiosità per un giornalista è indispensabile, per uno scrittore, meno.

«Invece no. Anche uno scrittore deve essere curioso per raccontare bene ciò di cui scrive. Il palazzo dei ‘Visacci’ di cui parlo è vero, non di fantasia, ci sono stato, l’ho visitato».

Tu cosa ti senti di più?

«Giornalista. Perché è quello che faccio da quando avevo 16 anni e che sognavo di fare da quando andavo alle elementari e ritagliavo Topolino per poi incollare le vignette e realizzare il giornalino di classe». 

Nel romanzo compare una Firenze versione dark, molto gotica. Perché?

«Perché Firenze non è solo il Rinascimento, ma è anche le stradine senza luce, i palazzoni di via Maggio, è una città di segreti. Dall’alto del piazzale Michelangelo è una cartolina ,ma se poi ci entri dentro cambia, nelle stradine dove i palazzi incombono non vedi uno spicchio di cielo. Ci sono il grigiore, il buio. Firenze è soffocante d’estate, ma lo è anche d’inverno». 

Il giornalismo è in crisi o sono i giornalisti a esserlo?

«Questa società non accoglie più il nostro lavoro come prima. I social network fanno credere che non ci sia più bisogno dei giornalisti, ma non è così. E forse è un po’ colpa anche nostra».

Perché?

«Prima i giornali andavano all’inseguimento della televisione e hanno perso. Ora aspettiamo che qualcuno metta un post per andargli dietro. L’avvocato lo possono fare tutti? No. Il medico lo possono fare tutti? No. Non si capisce perché circoli questa idea che il giornalista lo possono fare tutti».

E lo scrittore?

«Tanto più. In Italia tutti scrivono e nessuno legge, anche se prima di scrivere bisognerebbe leggere libri, giornali...».

La prima tiratura de Il rumore della pioggia è andata esaurita in una settimana. Magari qualcosa sta cambiando.