Populismo alla vaccinara

L'editoriale del direttore Pier Francesco De Robertis

Pier Francesco De Robertis

Pier Francesco De Robertis

Firenze, 23 aprile 2017 - Siamo cresciuti a pane e vaccini, quando provavano a convincerci che quell’odiosa punturina sul braccio fosse una luminosa conquista del progresso, e ci svegliamo con l’incubo che le tante lacrime sgorgate siano state inutili. Ma al di là del merito delle ragioni dell’uno e dell’altro fronte, la diatriba sull’utilità dei vaccini è lo specchio di quello che alcuni osservatori hanno ribattezzato «il rovesciamento della gerarchia tra la credenza e la conoscenza», con la prima che ha preso il posto della seconda.

Con il web a portata di mano e i social a fare da aggregatore di partiti improvvisati, ecco che basta un attimo a fondare una corrente d’opinione. Internet ha appiattito le distanze tra chi conosce e chi crede di conoscere, e autorizzato tutti a dire la propria. Uno vale uno, e perde importanza chi detta le regole e finisce il potere di chi compie un’intermediazione.

In questo caso, il ministero che stabilisce l’obbligo vaccinale, gli Ordini professionali che lo fanno osservare, il sistema dell’informazione che li fa conoscere. Tutti siamo uguali in questa sorta di finta democrazia digitale che dà origine a tante forme di populismo: populismo economico (NoEuro), populismo urbanistico (NoTav), populismo sanitario (NoVax) e via andare. Tutti accumunati dalla sfiducia nelle tradizionali forme di comunicazione, istituzionale e giornalistica, nella tendenza a indicibili complotti dei poteri forti (Europa, banche e Big Pharma), e a un inevitabile e conseguenziale rifiuto del progresso. Un’idea decrescente di futuro, di senile e passiva rassegnazione, segno di una società in fase regressiva. Che dire? Servirebbe un vaccino contro le brutte idee, ma i vaccini non sono più di moda.