Figuraccia planetaria

Il commento

Gabriele Canè

Gabriele Canè

9 ottobre 2015 - DI MARINO si potrà dire di tutto. Che è stato un cattivo sindaco. Senza dubbio. Da record. Che ha pranzato (di lusso) a sbafo del contribuente, spacciando figli e nipoti per l’ambasciatore del Vietnam. Che ha smascherato le trame della mafia quando lo ha letto sui giornali. Che si è intrufolato nei pellegrinaggi del Papa, prendendosi quasi una scomunica, e facendo qua e là la cresta in giro per gli Usa. Un vizietto. Tutto vero, pare. Ma su una cosa è unico, inattaccabile: come non si è voluto dimettere lui, non lo ha mai voluto nessuno. In questo è stato un maestro, un modello, un caso di attaccamento alla poltrona che lo farà entrare nella storia millenaria della capitale.

ALLA FINE, come si addice a un luminare dei trapianti, l’espianto è riuscito. Ma quanta fatica. Non è bastata l’anestesia endovena del convincimento. Non è servito il bisturi affilato del ridicolo, della ripulsa popolare, una marea che ha lambito il colle del Campidoglio sommergendo Roma. C’è voluta la mannaia fratricida del Pd, il partito che l’ha portato al vertice della capitale con un trionfale 70%, tutta gente, o quasi, che ora nega addirittura di essere passata dai seggi due anni fa, per indurlo a un passo indietro. Con la minaccia, però, di farne uno in avanti quando nel suo saluto ha infilato l’ipotesi che le dimissioni possano essere ritirate entro 20 giorni. Ma questo vogliamo prenderlo come uno scherzo di cattivo gusto. Come la dimenticanza di un chirurgo che lascia la garza nella pancia di un paziente. O meglio come la conferma dell’incapacità di quest’uomo di capire quello che ha combinato, e ciò gli sta succedendo attorno. Di capire che la sua gestione fallimentare e il penoso balletto di ieri, hanno aggiunto una tacca grossa come un dito al calcio dei fucili sempre puntati nel mondo contro l’Italia.

FIGURACCIA planetaria, di cui gli sarà grato Berlusconi, messo in croce per aver giocato a nascondino con la Merkel. Oggi salutiamo la sua partenza come una tardiva benedizione. Un antipasto di Giubileo. Domani dovremo chiedere ai partiti di fare tesoro del caso Marino, per riflettere bene prima di piazzare «facce diverse, credibili» in posti di grande responsabilità. E a noi stessi di fare bene attenzione a chi votiamo. Perché il nuovo, non sempre è buono. Anzi. E allora per l’espianto, non basta il bisturi. Ci vuole la mannaia.

DI MARINO si potrà dire di tutto. Che è stato un cattivo sindaco. Senza dubbio. Da record. Che ha pranzato (di lusso) a sbafo del contribuente, spacciando figli e nipoti per l’ambasciatore del Vietnam. Che ha smascherato le trame della mafia quando lo ha letto sui giornali. Che si è intrufolato nei pellegrinaggi del Papa, prendendosi quasi una scomunica, e facendo qua e là la cresta in giro per gli Usa. Un vizietto. Tutto vero, pare. Ma su una cosa è unico, inattaccabile: come non si è voluto dimettere lui, non lo ha mai voluto nessuno. In questo è stato un maestro, un modello, un caso di attaccamento alla poltrona che lo farà entrare nella storia millenaria della capitale.

ALLA FINE, come si addice a un luminare dei trapianti, l’espianto è riuscito. Ma quanta fatica. Non è bastata l’anestesia endovena del convincimento. Non è servito il bisturi affilato del ridicolo, della ripulsa popolare, una marea che ha lambito il colle del Campidoglio sommergendo Roma. C’è voluta la mannaia fratricida del Pd, il partito che l’ha portato al vertice della capitale con un trionfale 70%, tutta gente, o quasi, che ora nega addirittura di essere passata dai seggi due anni fa, per indurlo a un passo indietro. Con la minaccia, però, di farne uno in avanti quando nel suo saluto ha infilato l’ipotesi che le dimissioni possano essere ritirate entro 20 giorni. Ma questo vogliamo prenderlo come uno scherzo di cattivo gusto. Come la dimenticanza di un chirurgo che lascia la garza nella pancia di un paziente. O meglio come la conferma dell’incapacità di quest’uomo di capire quello che ha combinato, e ciò gli sta succedendo attorno. Di capire che la sua gestione fallimentare e il penoso balletto di ieri, hanno aggiunto una tacca grossa come un dito al calcio dei fucili sempre puntati nel mondo contro l’Italia.

FIGURACCIA planetaria, di cui gli sarà grato Berlusconi, messo in croce per aver giocato a nascondino con la Merkel. Oggi salutiamo la sua partenza come una tardiva benedizione. Un antipasto di Giubileo. Domani dovremo chiedere ai partiti di fare tesoro del caso Marino, per riflettere bene prima di piazzare «facce diverse, credibili» in posti di grande responsabilità. E a noi stessi di fare bene attenzione a chi votiamo. Perché il nuovo, non sempre è buono. Anzi. E allora per l’espianto, non basta il bisturi. Ci vuole la mannaia.