Così le circolari sui bond. Chi sono gli indagati. Alterate le percentuali investite?

Il blitz che è costato la perquisizione a due alti funzionari indagati: l'ipotesi della procura che ci fosse una cabina di regia centralizzata

Una delle circolari sul collocamento dei bond: "Sono rivolti a un pubblico indistinto"

Una delle circolari sul collocamento dei bond: "Sono rivolti a un pubblico indistinto"

Arezzo, 11 maggio 2016 - Nella casa o nell'ufficio dei due indagati di Banca Etruria il pool dei Pm spera che nei documenti prelevati ci siano gli elementi per suffragare l’ipotesi di lavoro: che cioè la truffa ai danni dei risparmiatori azzerati non fosse l’iniziativa isolata di qualche direttore di filiale ma l’effetto della scelta, presa nel cuore della banca, di premere al massimo sul collocamento delle subordinate, piazzandole anche e soprattutto al «pubblico indistinto» della clientela comune.

Si aspettano gli effetti delle perquisizioni di due alti funzionari: L.S., dirigente dell’area commerciale, e P.M., pezzo grosso dello stesso servizio. Se dovessero arrivare i riscontri che i Pm si aspettano, la prossima mossa sarà di salire ancora di livello. 

C’era una cabina di regia unica che presiedeva al collocamento delle obbligazioni subordinate di Banca Etruria (quelle azzerate dal decreto del 22 novembre) ed aveva sede presso il centro direzionale dell’istituto di credito più discusso d’Italia, che è stato teatro ieri dell’ennesimo blitz della Guardia di Finanza.È l’ipotesi di lavoro del pool di pm, guidato dal procuratore capo Roberto Rossi, che ha firmato i decreti di perquisizione a carico di due alti funzionari di Bpel: concorso in truffa aggravata. Il resto lo hanno fatto gli investigatori dei nuclei di polizia tributaria di Arezzo e Firenze. Prima si sono presentati in banca, dove hanno passato al setaccio gli uffici, poi si sono spostati nelle abitazioni dei due: figure apicali appena sotto la direzione generale. In mano i finanzieri avevano già alcune mail e circolari con le quali si dava disposizione per piazzare le subordinate presso «un pubblico indistinto», senza riservarle ad una platea di investitori istituzionali, i più avvezzi a distinguere i rischi di obbligazioni che potevano essere coinvolte in un eventuale crac. Come poi è effettivamente successo. In sostanza, ci sarebbe stato un vero e proprio ordine dall’alto, un’indicazione che a chi indaga è venuta direttamente da più di un funzionario di banca al livello delle filiali, dove ci sono già una decina di funzionari indagati. Non veri e propri «pentiti», ma comunque gente che teneva a distinguere le responsabilità: guardate che spingere sul pedale del gasi non è stata un’idea nostra. Per quanto trapela, non ci sarebbe una disposizione esplicita, tantomeno di alterare i Mifid, cioè i moduli che i clienti dovevano riempire per indicare la classe di rischio, ma una serie di messaggi verbali o di posta elettronica e di circolari che chi indaga legge in maniera univoca, quella cioè di una filiera che partiva dal vertice e arrivava fino al dipendente di filiale, il cui scopo era di piazzare massicciamente le emissioni del 2013 (le ultime) in un momento già di fortissima difficoltà. Tra le carte dell’inchiesta c’è ad esempio una «circolare dispositiva» del 31 maggio 2013 su un collocamento di 50 milioni di obbligazioni al tasso del 3,5%. E’ firmata dalla direzione centrale commerciale e dice esplicitamente che i titoli «saranno emessi e collocati sul mercato italiano e rivolte al pubblico indistinto». Compreso quindi il grande parco buoi dei clienti che non avevano troppa esperienza di finanza e che facilmente si fecero convincere.

Per la procura, il combinato fra il «pubblico indistinto» e la successiva alterazione dei Mifid, dove spesso risultano falsificati titoli di studio, patrimonio e classi di rischio, rappresenta un’ipotesi di truffa. Tanto più che ci furono risparmiatori, anche con livello di rischio basso, convinti a disinvestire capitali garantiti per gettare i loro soldi nella fornace delle subordinate, presentate come una promozione per i clienti migliori. Il tutto mentre si diceva che si trattava di investimenti sicuri, al pari di titoli di Stato.

Stando ad alcune indiscrezioni sulle indagini, nei Mifid sarebbero stati alterate anche le percentuali di capitali investite in bond subordinati rispetto al totale. Non dunque l’80, il 90 o anche il cento per cento dei risparmi, ma il 15, il 20 o il 30 per cento, in modo da allentare la percezione nei controlli dell’effettivo grado di rischio dell’investimento.

Salvatore Mannino