Vicenza, le due verità. Barbagallo: Bankitalia neutrale. Ex vertici: pressioni nei verbali

Il direttore della vigilanza esclude in commissione di aver favorito la fusione,di là tornano a galla le carte dei Cda. E oggi tocca a Zonin dire la sua

Barbagallo in commissione

Barbagallo in commissione

Arezzo, 13 dicembre 2017 - La Banca d’Italia scende in trincea. Col suo direttore della vigilanza Carmelo Barbagallo che si cala l’elmetto e dinanzi alla commissione banche ribatte colpo su colpo alle accuse contro via Nazionale: mai favorito, è la sintesi, l’aggregazione di Popolare Vicenza con Etruria (sulla quale ancora una volta deflagra la polemica politica, soprattutto quella dei Pd), di cui ci siamo limitati a prendere atto.

Il procuratore Roberto Rossi giudica «strano» che la banca di Zonin venisse considerata un istituto di elevato standing? Chiedete a lui, in ogni caso l’etichetta di elevato standing gliela hanno data gli advisor industriali di Etruria, noi quell’ipotesi di alleanza la abbiamo registrata senza nessuna pressione per accelerarla e se Bpel e Bpvi fossero arrivati a un accordo l’avremmo bocciato successivamente, pur se nel 2014 non erano ancora emersi i problemi di Vicenza che era considerata una banca «nella media».

Inutile dire che gli ex amministratori di Etruria, quelli che Barbagallo etichetta come i «ballerini sul Titanic» non ci stanno e ribadiscono che le pressioni per chiudere l’alleanza da parte di via Nazionale ci furono eccome. Nessuno di chi stava al vertice di Bpel e condusse le trattative accetta di parlare in prima persona, ma si sottolineano alcuni passaggi nei verbali dei Cda del 6 e 11 giugno, quelli immediatamente precedenti alla fase più calda del tentativo di alleanza e poi al suo fallimento. Come a dire che gli indizi stanno nelle carte scritte.

Nella seduta del 6 il presidente dell’epoca Lorenzo Rosi relaziona il consiglio anche su un incontro avvenuto il giorno prima (c’erano anche i vicepresidenti Alfredo Berni e Pierluigi Boschi e il presidente del collegio sindacale Massimo Tezzon) in via Nazionale, rappresentata dallo stesso Barbagallo, dal suo vice Ciro Vacca e un altro funzionario. Nella versione di Rosi, a lui che annuncia la decisione di cambiare il direttore generale Luca Bronchi, come già suggerito da Bankitalia, Barbagallo e i suoi replicano sottolineando che «la nomina del nuovo direttore generale non possa essere interpretata come un segnale di ostilità a Banca Popolare di Vicenza e comunque contrario rispetto alla volontà di procedere all’integrazione».

E’ come dire, notano gli ex vertici, che via Nazionale l’aggregazione la voleva eccome, tanto da preccuparsi che il Dg fosse un uomo accettabile anche per Vicenza e in grado di procedere verso l’alleanza. La delegazione di via Nazionale poi condivide «la necessità di individuare modalità di aggregazione concretamente percorribili» (cioè non solo l’Opa per cassa proposta da Zonin che vede perplessi gli aretini Ndr), ma evidenza «tuttavia l’esigenza di addivenire tempestivamente alla conclusione del processo di aggregazione». Che non pare, dicono fonti vicine agli ex vertici di Etruria, l’atteggiamento neutrale di cui parla adesso Barbagallo ma piuttosto un forte interesse per l’alleanza.

L’impazienza di Bankitalia traspare anche dalla relazione di Rosi al Cda successivo, quello dell’11 giugno, che ha sempre per tema forte il processo di integrazione: è ancora il presidente che riferisce di un contatto informale con via Nazionale avvenuto lo stesso 6 giugno del consiglio precedente: «I rappresentanti dell’autorità di vigilanza hanno nuovamente ribadito la necessità che Banca Etruria porti positivamente a compimento il processo di integrazione, sottolineando l’esigenza che la banca addivenga già nel brevissimo periodo a un’intesa in tal senso».

Tradotto: fate l’accordo e fate presto. Ovviamente è la versione di Rosi, sia pure espressa in atti ufficiali come i verbali del Cda. Altrettanto chiaramente non c’è mai il nome di Vicenza, si parla sempre e soltanto di integrazione. Ma con chi, si domandano gli ex vertici, se non con la banca con cui stavamo trattando? E allora ecco la doppia verità: quella di Barbagallo («Non facemmo pressioni») e quella degli ex amministratori: «Le pressioni ci furono». Chissà se la commissione riuscirà a sciogliere il nodo.