Bimbo morto al Crocodile: sfilano i testi davanti al Gip

Stefan Tirionac morì sette anni fa, un altro caso di giustizia lumaca. Prossima udienza il 21 dicembre quando si andrà a sentenza

 Stefan Tironiac

Stefan Tironiac

Arezzo, 31 ottobre 2017 - E' appordata oggi davanti al Gip Borraccia la tragica vicenda della morte del piccolo Stefano Tirniac che merì 7 anni fa in piscina al Crocodile. davanti al giudice sono sfliati i testimoni, prossima udienza il 21 dicembre.

E' una storia di giustizia lumaca,  nella quale le responsabilità sono ancora tutte da capire a ben sette anni e mezzo da quando Stefan Tironiac, bimbo rumeno di appena 10 anni, affogò nella piscina del Crocodile, al confine fra i comuni di Monte San Savino e Marciano. Era il 1 luglio 2010 eppure il processo non è mai entrato nel merito. Lo farà domani, nell’aula del giudice Gianni Fruganti che è anche presidente della sezione penale del tribunale. E’ toccato a lui ripescare dal dimenticatoio un caso che rischiava (e rischia ancora) di restare un fascicolo sepolto nella polvere degli archivi.

Intendiamoci. I tre imputati che domani si presenteranno in aula con la morte di Stefan c’entrano soltanto di riflesso. Il piccolo, in una dinamica che dimostra quanto a volte la sorte possa essere carogna, fu colpito, mentre era a bagno nell’acqua bassa, da un altro ragazzino che si stava tuffando. Una botta che lo fece affondare e quando il bagnino lo ripescò pochi attimi dopo per lui era già troppo tardi. Ma a parte che il coetaneo non sarebbe stato imputabile, di lui i carabinieri che condussero le indagini non hanno mai trovato traccia e inutili si sono rivelati gli appelli perchè si facesse avanti spontaneamente.

A PROCESSO, invece, ci sono finiti il titolare del Crocodile, Giovanni Burrini, e due educatori dell’associazione Baobab cui il Comune di Monte San Savino aveva affidato il campo solare cui quella mattina, la prima della stagione, partecipava anche il bimbo rumeno: Marco Paolucci, ex consigliere comunale ad Arezzo, e Barbara Peruzzi. Loro due avrebbero dovuto impedire alla comitiva di bambini di gettarsi in acqua in assenza dei maestri di nuoto che non si erano presentati per un disguido. La classica colpa in vigilando che però vale lo stesso una contestazione di omicidio colposo, come per il titolare della piscina. Sarebbe tutto quasi prescritto se non ci fosse l’aggravante dell’infortunio in un ambiente di lavoro che raddoppia i tempi: da sette anni e mezzo a quindici.

MA PERCHÈ c’è voluto tanto per arrivare a processo? Innanzitutto perchè le indagini preliminari, condotte dal Pm Elisabetta Iannelli, si erano concluse con una richiesta di archiviazione. E invece il primo Gip, Piergiorgio Ponticelli disse no, che non poteva finire così, ordinando l’imputazione coatta a carico di tutti, compresi i due bagnini in servizio, uno dei quali era quello che si tuffò per provare a salvare Stefan. Loro poi sono usciti indenni dalle accuse nel corso della seconda udienza preliminare, stavolta col Gip Giampiero Borraccia. A quel punto, però, anche la famiglia del bimbo si era tirata indietro, rinunciando alla costituzione di parte civile e accontentandosi del cospicuo risarcimento danni pagato dall’assicurazione.

Col rinvio a giudizio, tuttavia, comincia un’altra odissea. Il fascicolo viene assegnato al giudice Manuela Accurso Tagano, che il 6 ottobre 2015 rinvia per l’istruttoria a nuova data. Non si farà mai perchè il magistrato nel frattempo si è trasferito a Milano come Gip e bisogna ricominciare daccapo. E così di lungaggine in lungaggine si è arrivati fino all’appuntamento di domani. Ci sono da sentire tutti i testimoni che dovranno ricostruire la dinamica del tragico incidente. Poi, se avanzerà tempo, la discussione e la sentenza, altrimenti un altro rinvio. Comunque, al massimo ci vorrà qualche altro mese, ormai il processo è incardinato lungo binari che lo porteranno finalmente a conclusione. Sapremo così se al di là del ragazzino rimasto sempre sconosciuto ci sono altri responsabili per la morte di Stefan o se invece fu solo fatalità. Sempre troppo tardi per i tempi della giustizia di un paese civile.