Delitto Yara, la svolta. Per Bossetti potrebbe riaprirsi il processo

Novani, insieme al pool di avvocati, strappa il sì della Cassazione a vedere e analizzare i reperti da cui è stato estratto il Dna di "Ignoto 1"

Massimo Bossetti

Massimo Bossetti

Viareggio, 17 gennaio 2021 - La notizia di questi giorni, per chi si interessa dei fatti di cronaca nera, è la ‘riapertura’ del processo a Massimo Bossetti nell’ambito del delitto di Yara Gambirasio: uno dei macabri episodi che hanno colpito di più l’Italia. E dietro al ‘colpo di scena’, a quasi tre anni dalla condanna all’ergastolo del muratore per l’omicidio della tredicenne avvenuto del 2010, si cela un viareggino: si tratta del professor Sergio Novani, docente di procedura penale all’Università degli Studi dell’Insubria. Novani, 54 anni e un passato da avvocato prima di dedicarsi alla carriera universitaria, ha un approccio particolare al diritto: il suo lavoro si basa soprattutto sulla logica.

Professore, come ha fatto ad arrivare a trattare casi di rilevanza nazionale, partendo dalla provincia?

“Sono entrato nella difesa di Bossetti a luglio 2014; Massimo era stato arrestato il 16 giugno. Ero andato a Como, dove ora sono residente, per lavorare all’università. Lì ho conosciuto l’avvocato Claudio Salvagni: è stato lui a chiedermi di unirmi alla squadra. E dopo sette anni, nonostante le delusioni, siamo ancora qua a cercare di ottenere giustizia. Abbiamo lavorato duramente e tre giorni fa siamo arrivati a questo risvolto eccezionale, congegnato da me e dagli avvocati”.

Come siete riusciti a smuovere le acque a due anni e rotti dalla sentenza di Cassazione?

“A novembre 2019 abbiamo proposto un’istanza con cui abbiamo chiesto di poter vedere e analizzare i reperti da cui è stato estratto il dna di Ignoto 1. Questo perché nessuno ce li ha fatti non dico analizzare, ma neppure vedere per tre gradi di giudizio. Inoltre, abbiamo chiesto di poter visionare il materiale biologico: per anni ci è stato detto che era consumato. La cosa eccezionale è che il presidente del tribunale di Bergamo ha emesso un provvedimento in cui ha autorizzato tutto. Al che, abbiamo chiesto quando e dove poter visionare il materiale, ma lo stesso presidente del tribunale ci ha risposto che tutto quel che è stato prelevato dagli indumenti di Yara è sotto confisca, e che dunque non avremmo potuto fare niente. A quel punto abbiamo presentato due ricorsi in Cassazione, e la Suprema corte ci ha dato ragione. Iniziamo a vedere una luce in fondo al tunnel”.

Che formazione ha alle spalle?

“Sono laureato in giurisprudenza e in filosofia con una specializzazione in logica. Nei processi, faccio analisi logico-argomentative di quel che dicono pm, testimoni… in Cassazione, le norme processuali dicono che il giudice deve essere coerente. Io avevo una zia filosofa e dopo gli studi in giurisprudenza ho preso la ‘laurea dei sogni’, capendo che avrei potuto applicarla al processo penale. E qualche risultato l’ho ottenuto: la logica mi aiuta a individuare gli errori argomentativi dell’accusa, e pure quelli che commettiamo noi. In questo caso, è servita molto: il giudice, dicendo che avremmo potuto visionare il materiale biologico e poi negandoci questa possibilità, ha emesso due provvedimenti manifestamente incoerenti. Tutto il mio lavoro nasce da qua: combinazione di studi giuridici, logica ed epistemologia per far chiarezza nel processo penale”.

Altri casi celebri di cui si è occupato?

“Sono stato uno dei protagonisti della difesa di padre Graziano, il parroco incriminato per omicidio: un procedimento salito agli onori delle cronache. Anche se forse la cosa ci ha danneggiato, più che aiutarci: l’epilogo non è stato favorevole alla difesa. Questo processo e quello a Bossetti sono i due che mi hanno fatto conoscere tra chi segue queste storie”.

A volte non c’è il rischio che l’interesse per la cronaca nera sfoci nella morbosità?

“Io penso che sia giusto che anche i non addetti ai lavori siano coinvolti in quel che accade a livello processuale: in fondo, le sentenze vengono emesse in nome del popolo italiano, che non è incapace di comprendere. Siamo tutti affascinati dai processi americani che vediamo in tv: lì, le giurie sono popolari. L’approccio all’ambito criminal-penalistico è positivo, finché non si esasperano i toni e non si crea un’atmosfera negativa attorno a chi, come me, è percepito come ‘dalla parte dei cattivi’. Mi piacerebbe che il cittadino non ‘subisse’, ma riuscisse a farsi un’idea. Non è necessario essere un professionista per giudicare: mio nonno, a Viareggio, aveva il mercato della frutta ed era una persona eccezionale dal punto di vista logico”.

Come ci si sente a far parte della difesa di persone con cui, spesso, l’opinione pubblica fa fatica a essere garantista fino in fondo?

“Nell’ambito della difesa, trovarsi a subìre un pregiudizio è qualcosa con cui, purtroppo, ci troviamo a dover convivere”.

Da esperto di diritto, che idea si è fatto sulla sentenza di Cassazione per il disastro ferroviario di Viareggio?

“Nel 2009 ero da poco tornato da Girona, dove lavoravo come visiting professor. Avevo lo studio legale in via Machiavelli, verso la stazione. Per me è difficile esprimere qualcosa a livello processuale: il coinvolgimento emotivo è troppo forte. Ma ho fatto sapere al collega Massimo Landi che, qualora fosse necessario un qualsiasi aiuto, anche alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, sarei pronto a fare qualsiasi cosa a titolo gratuito per queste persone”.