Non tutti sanno chi era Gino Lucetti, colui che fece l’attentato al Duce. Da un paio di decenni l’11 settembre è diventata una data conosciuta e ricordata da tanti, ma Carrara ha un altro 11 settembre, avvenuto quasi un secolo fa, meno noto ma ugualmente importante, soprattutto per gli sviluppi che avrebbe potuto avere nella storia, quella con la “esse” maiuscola. Correva l’anno 1926 e l’avenzino Gino Lucetti si era messo in testa di uccidere a Roma il duce Benito Mussolini. Al di là della approvazione o della condanna dell’atto (che molto dipende dai punti vista) resta un’azione tanto ardita quanto sfortunata, figlia dei caldi ideali della gioventù di un anarchico che credeva in un mondo migliore.
E sfortunata è stata anche la vita di Lucetti perché la bomba, una Sipe della prima guerra mondiale, lanciata leggermente in ritardo rispetto al passaggio dell’auto del duce davanti porta Pia, colpisce la parte superiore della portiera posteriore, rimbalza ed esplode a terra, ferisce otto persone che si trovavano in strada, ma Mussolini ne esce indenne. Lucetti prova a scappare, lancia una seconda bomba contro due carabinieri che lo inseguono (secondo alcuni è invece stata persa nella corsa), fatto sta che l’ordigno non esplode, lui viene subito arrestato, processato per otto capi di imputazione (difeso da un avvocato d’ufficio che non avrebbe voluto assumere l’incarico) e, reo confesso, condannato a trent’anni di reclusione di cui tre di vigilanza speciale, 300 lire di ammenda, 600 lire di tassa su concessioni, l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Uscito dal carcere di Ischia nel 1943 muore poco dopo sotto i bombardamenti, non potendo così vedere la fine della guerra e neppure l’Italia liberata.
Nato nel 1900 in una famiglia di lavoratori del marmo e con qualche proprietà terriera, Gino è il quarto di cinque figli, che resta orfano di padre all’età di 10 anni e, nonostante il buoni risultati scolastici, deve andare a lavorare come lizzatore in cava dove ha i primi contatti con il mondo dello sfruttamento e della lotta politica. Nel marzo del 1918 è chiamato alle armi e con l’Italia ancora impegnata nella prima guerra mondiale, entra negli arditi, un gruppo di elite per azioni ad elevato rischio, dove però svolge mansioni di conducente di automezzi, seppure in zona di guerra. Sotto le armi rimedia un processo (terminato con una assoluzione) per avere venduto il proprio fucile con la baionetta, e una condanna ad un anno di reclusione per diserzione (per essersi allontanato arbitrariamente dal campo) condonabili in caso di buona condotta nel quinquennio successivo.
Conclusa la leva militare torna ad Avenza, ma resta coinvolto in alcuni scontri con fascisti e decide di emigrare in Francia. Tra il 1922 e il 1925 si muove tra Nizza e Marsiglia, ha contatti con libertari fuoriusciti e il consolidarsi della teoria dell’individualismo d’azione inteso come unico strumento della lotta anarchica, fa maturare in Lucetti l’idea dell’attentato a Mussolini che nel frattempo aveva introdotto quelle leggi che traghettano lo stato italiano da liberale a fascista. Fallito l’attentato, arrestato l’attentatore, nella notte successiva al gesto sono arrestati anche i fratelli Giuseppe e Andrea, la madre e alcune persone vicine alla famiglia, mentre a Roma la polizia indaga su eventuali complicità nella capitale. Per un anno Lucetti è nelle carceri romane di Regina Coeli, quindi è trasferito a Portolongone, nell’isola d’Elba, mentre nel febbraio 1930 è ancora trasferito a Fossombrone, nel pesarese.
Nel giugno 1932 ancora un trasferimento per l’isola di Santo Stefano, nell’arcipelago pontino. Intanto la pena viene ridotta di undici anni tra sconti e indulto, e la liberazione è fissata per il settembre 1945. Ma all’indomani dell’8 settembre è trasferito nell’isola di Ischia dove l’11 settembre è liberato dagli americani che, per conto del nuovo governo italiano, gestiscono i detenuti politici confinati. Ma la libertà di Lucetti dura solo sei giorni perché durante il bombardamento tedesco del 17 settembre, effettuato dalle postazioni costiere tedesche verso Ischia controllata dagli alleati, muore colpito da una scheggia di granata. Sepolto in un primo momento nell’isola, Lucetti fa ritorno nella sua Avenza dentro una bara nell’aprile del 1947 ricevendo una grande accoglienza popolare e da allora è sepolto nel locale cimitero, nel pezzo di terra chiamato “quadrato degli anarchici”, mentre una piazzetta nel centro di Avenza ricorda ancora un suo figlio.
Maurizio Munda