Carceri, allarme suicidi. I garanti si mobilitano

Il tema della salute mentale in prigione è tra i più misconosciuti. Si fa fatica a capire l’entità del problema

Un carcere

Un carcere

Firenze, 14 aprile 2024 – “I suicidi sono il prodotto della lontananza della politica e della società civile dal carcere", dice la Conferenza dei garanti territoriali delle persone private della libertà, che ha organizzato per il prossimo 18 aprile una giornata di mobilitazione, a un mese esatto dall’intervento del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. "Sui suicidi in carcere servono interventi urgenti", ha detto il capo dello Stato il 18 marzo. Dall’inizio del 2024 ce ne sono stati 30. Il triste record del 2022 - 84 suicidi - rischia di essere facilmente superato, nell’indifferenza di molti. "Ormai non si fa più in tempo ad enumerare i casi di suicidio che si è subito costretti ad aggiornarne l’agghiacciante elenco", dicono i garanti territoriali: "È uno stillicidio insopportabile, al pari della sensazione di inadeguatezza delle attività di prevenzione".

La maggioranza dei detenuti vive, per oltre 20 ore al giorno, in celle sovraffollate, dalle quali esce solo nelle ore d’aria: "Questo rappresenta, senza dubbio, una patente violazione dei principi e delle garanzie riconosciute dalla nostra Carta costituzionale e dall’Ordinamento penitenziario. Tale situazione non è insuperabile".

Da qui l’appello dei garanti a parlamentari, consiglieri regionali e comunali, e agli stessi magistrati di sorveglianza, a "visitare le carceri con maggiore continuità e frequenza". D’altronde, scriveva nel 1949 Piero Calamandrei che le carceri "bisogna vederle, bisogna esserci stati, per rendersene conto". Il 18 aprile i garanti ricorderanno, nelle manifestazioni che stanno organizzando, i nomi dei detenuti che si sono suicidati, per malattia e altre cause ancora da accertare, "nonché i nomi degli agenti di polizia penitenziaria che quest’anno si sono tolti la vita".

Il tema della salute mentale in carcere è serissimo. Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, pochi giorni fa ha firmato un decreto che prevede, per quest’anno, l’assegnazione di 5 milioni di euro all’amministrazione penitenziaria. Soldi destinati al "potenziamento dei servizi trattamentali e psicologici negli istituti, attraverso il coinvolgimento di esperti specializzati e di professionisti esterni all’amministrazione".

Gli operatori del carcere dicono però che non sono sufficienti e spiegano che non è soltanto una questione di soldi. "Le giornate delle persone detenute vanno riempite e non passate sdraiati sul letto a guardare il soffitto o a passeggiare per la sezione", dice Antigone.

Nelle carceri, peraltro, ci sono persone che non ci dovrebbero stare. Che cosa ci faceva Alvaro Fabrizio Nuñez Sanchez, detenuto di 31 anni, affetto da gravi patologie psichiatriche, suicidatosi nel carcere di Lorusso e Cutugno, a Torino, lo scorso 24 marzo? Niente, assolutamente niente. Non era il posto per lui, non doveva stare lì.

Lo aveva stabilito il pm che aveva disposto mesi prima il trasferimento in una Rems, cioè una Residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza; le Rems sono luoghi che ospitano le persone dichiarate incapaci (o semi incapaci) di intendere e volere al momento della commissione del reato, ma ritenute socialmente pericolose. Era proprio il caso di Nuñez, gravemente malato, che aveva tentato di uccidere il padre accoltellandolo nel sonno.