Fanno causa alla Germania per il nonno partigiano torturato e sepolto vivo dai nazisti

Katia e Sergio Poneti, nipoti di Egidio Gimignani, chiedono giustizia e e l’ammissione di una responsabilità al governo tedesco che ha istituito un fondo per risarcire le vittime o i loro familiari

Il partigiano Egidio Gimignani e la moglie Argia Salvietti

Il partigiano Egidio Gimignani e la moglie Argia Salvietti

Barberino Tavarmelle (Firenze), 15 settembre 2022 - Una morte atroce, torturato e sepolto vivo. Così morì, nel 1944, Egidio Gimignani per mano dei nazifascisti. Oggi i nipoti chiedono giustizia. E un risarcimento alla Germania. «Siamo sempre stati orgogliosi della figura del nostro nonno e della sua lotta politica per la libertà e la democrazia, anche se non è stato sempre facile convivere con la ferita costantemente aperta nel cuore di nostra madre», commentano Katia e Sergio Poneti.

Sindaco e nipoti davanti alla targa che ricorda Gimignani

Il sindaco e i nipoti del partigiano

«Auspichiamo che l’iter che abbiamo avviato porti ad un riconoscimento dell’azione compiuta dal nonno e ad una condanna della tortura e degli atti inumani commessi dai soldati nazifascisti». Katia e Sergio Poneti, nipoti di Egidio Gimignani, chiedono giustizia. E l’ammissione di una responsabilità al governo tedesco che ha istituito un fondo per risarcire le vittime, o i loro familiari, per crimini compiuti dalle forze del Terzo Reich. «Auspichiamo che l’iter che abbiamo avviato porti ad un riconoscimento dell’azione compiuta dal nonno e ad una condanna della tortura e degli atti inumani commessi dai soldati nazifascisti». «Quando abbiamo saputo del fondo – aggiungono Katia e Sergio - non abbiamo esitato a decidere di far partire la causa, anche se inizialmente era previsto solo il termine di 30 giorni, per questo vogliamo ringraziare lo studio legale che ci segue che ha predisposto gli atti in tempi brevissimi».

Il 20 giugno 1944 Egidio Gimignani, partigiano, boscaiolo quarantenne di Tavarnelle venne brutalmente ucciso per non essersi fatto delatore dei compagni. Qualche giorno prima, infatti, in quella estate intrisa di sangue e morte, il 13 giugno, si era verificato uno scontro a fuoco da cui era rimasto ucciso un soldato germanico. A seguito di questo episodio i tedeschi durante un rastrellamento catturarono Egidio Gimignani. Accusato di far parte del gruppo perché trovato in possesso di un fazzoletto rosso. Nel tentativo di salvare i propri ideali e i compagni appartenenti alla formazione “Faliero Pucci”, subì terribili torture fisiche e psicologiche prima di essere seppellito vivo e lasciato morire agonizzante in una fossa che i cugini furono costretti a scavare. Quel fazzoletto rosso conservato in tasca fu la carta di identità di Egidio Gimignani. E in ricordo quel fazzoletto rosso carico di ideali e di valori, Katia e Sergio Poneti, nipoti di Egidio Gimignani, chiedono giustizia. Il Comune di Barberino Tavarnelle, nell'ambito della rete regionale dei Comuni colpiti dalle stragi nazifasciste, affianca e sostiene l'iter giudiziario dei due fratelli, nipoti del partigiano di San Donato in Poggio che hanno presentato un atto di citazione per chiedere un risarcimento danni alla Germania. La loro prima udienza si terrà nel mese di novembre. Ad Egidio Gimignani è intitolata anche la sezione Anpi di Barberino Tavarnelle, presieduta da Adelmo Franceschini.

I fatti del 1944

Il partigiano Egidio Gimignani, figlio di Antonio e Monica Magnani, nato a Tavarnelle Val di Pesa il 13 marzo 1900, venne catturato dalle SS il 19 giugno 1944 a seguito di una sparatoria che, tra le vittime, seminò un soldato tedesco. Egidio faceva parte del gruppo di partigiani, appartenente alla formazione “Faliero Pucci”, presente già dal maggio 1944 nelle vicinanze di San Donato in Poggio, presso il santuario di Santa Maria delle Grazie si Pietracupa. Dopo lo scontro a fuoco il gruppo decise di trasferirsi nella vicina località di Montebernardi, nei pressi di Panzano in Chianti. I tedeschi volevano conoscere la collocazione dei partigiani e condussero Gimignani più volte in giro per il paese di San Donato. Messo a confronto con alcune persone del luogo, persino con il parroco, Gimignani finse di non riconoscerle, negò qualsiasi relazione con gli abitanti del luogo e non cedette alle minacce dei tedeschi: non rilasciò alcuna informazione. Venne tenuto prigioniero una notte presso la pieve di San Donato, tra il 19 e il 20, e portato in luogo isolato. In questa area di campagna fu scavata una fossa dove venne gettato il corpo di Gimignani ancora in vita, dopo essere stato ripetutamente pugnalato e poi brutalmente sgozzato dai militari tedeschi. A recuperare il cadavere fu il fratello, Ottavio Gimignani. 

La lapide

“Ricordi il tuo sacrificio alle future generazioni quanto costi di lacrime e di sdegno la riconquista della libertà sia monito a tutti per custodire sempre gelosamente la dignità di una libera Italia”. Sono queste le parole impresse nella memoria della comunità, scalfite nella lapide di marmo posta sulle mura medievali del castello di San Donato in Poggio, alle quali ogni anno rende onore il Comune di Barberino Tavarnelle durante il percorso nei luoghi della memoria in occasione della Festa di Liberazione. 

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